di Luigi Di Maso

A inizio anno, se qualche amico ci avesse confessato che la mancata qualificazione ai Mondiali del 2018 non sarebbe stato comunque il momento peggiore del nostro calcio a stretto giro, probabilmente non gli avremmo creduto o peggio ancor avremmo smesso di seguire lo sport che amiamo per eccessivo stato di ansia.

E invece, a distanza di poco più di due anni, ci troviamo davanti la prospettiva di vivere settimane di grigiore, aspre come quelle di quelle di fine 2017, ma la cosa peggiore di tutto ciò è che la sospensione del campionato non è assolutamente la notizia più grave, anzi.

Il decreto del governo che ha vietato le manifestazioni sportive, e quindi la Serie A, fino al 3 aprile (a cui oggi fa seguito la decisione dell’Uefa di rinviare le Coppe europee, ndr), ha fatto scoppiare e messo fine alla prima bolla di isterismi e superficialità del sistema calcio, un movimento in cui rientrano tutti, nessuno escluso, anche i tifosi.

Un sistema in cui tutti hanno mostrato fragilità. Un mondo in cui, in questo periodo, in molti hanno scambiato il proprio raggio visivo in ciò che era priorità per tutti.

Ma dopo ben 176 parole principalmente di accezione negativa, e con la sospensione del campionato più che ufficiale almeno fino ai primi di aprile, tocca guardare oltre il proprio orticello.

Le polemiche, davvero sterili legate ai possibili rinvii di Juventus-Inter, l’incomunicabilità tra governo, club e Lega, e i primi contagi di giocatori e allenatori nel mondo del calcio, ci devono spingere a riflettere.

Di tempo ne abbiamo per fermarci, ora che siamo costretti, ma anche mossi da responsabilità e dovere civico a restare a casa.

È arrivato il momento di ritrovare lucidità e metabolizzare almeno tre lezioni.

1. Il calcio non è la cosa più importante che abbiamo

In realtà sarebbe imbarazzante dover spendere delle parole per spiegare questo punto e offenderebbe l’intelligenza di molti, anche se potrebbe scorrere un fiume di sostantivi, vocali e consonanti da far invidia al Decamerone.

2. Il calcio è un’industria, non sentiamoci tirati in ballo ma viviamola con più serenità

Se avete ancora voglia di guardare al calcio esclusivamente con l’approccio romantico o nostalgico, beh vi consigliamo di cambiare sport.

Se i dubbi sulla sospensione del massimo campionato italiano hanno perdurato più del dovuto e le polemiche si sono inasprite al punto tale di dover aprire un’inchiesta (vedi Zhang vs Dal Pino), è perché il calcio è un business in cui da una parte trovi le emittenti come Sky (780 milioni di euro investiti per i diritti tv) e Dazn (193,3 milioni investiti da Perform), dall’altra un’azienda come la Lega Serie A e poi i club: Juventus (459,7 milioni di fattura nella stagione 2018-2019 e 12,3 milioni di perdite ipotetiche con il campionato a porte chiuse) e Inter (364,6 milioni di €) ad esempio.

Quasi tutti ci siamo innamorati del calcio in tenera età, questo non vuol dire che sia uno sport da ragazzini. È un’industria, appunto.

La prossima volta che offenderete sia verbalmente che sui social un’altra persona per puro atto di partigianeria verso la vostra squadra, fermatevi qualche secondo e tiratevi indietro.

3. Il calcio è amore, valori. Quando tornerà, rendiamola una passione condivisa

Sì, lo so.

L’ultimo è un punto che sembra quasi smentire i precedenti. Tutto ciò potrebbe sembrare il flusso di pensieri di una persona bipolare, ma lasciateci spiegare meglio.

Premesso che nel nostro inconscio più nascosto sappiamo tutti che non potremo fare a meno del calcio anche quando torneremo alla normalità, a questo punto è giusto fermarsi a riflettere sul valore che vogliamo dare a una passione nella quale investiamo quasi tutte le nostre energie mentali (e a volte anche fisiche).

Quando torneremo a guardare una partita, coinvolgiamo le persone che ci sono vicine a livello di affetti per spiegare a loro perché amiamo il calcio. Non raccontiamo loro di quella rocambolesca vittoria nel derby, ma raccontiamo storie, emozioni e valori.

Il calcio ha una forte influenza sulle altre sfere della vita (cercate la storia di Faruk Hadžibegi ad esempio) ed è elemento centrale nelle conversazioni e nella cultura generale nel nostro Paese.

Anziché prendercela con chi lo definisce “22 persone che corrono dietro un pallone”, incantiamo questi ultimi con la magia del football.

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