Jacopo Casiraghi, psicologo e psicoterapeuta, intervistato da ilfattoquotidiano.it spiega perché in questi momenti è fondamentale stare vicino alle persone più fragili emotivamente: "Distanza fisica non significa mancanza di vicinanza emotiva. Le nuove tecnologie ci aiutano: impariamo ad usarle per il bene di tutti"
Sono ore molto difficili per l’Italia che affronta l’emergenza coronavirus. Lo sono ancora di più per chi, come i disabili, vive una situazione di fragilità emotiva e rischia di essere maggiormente esposto alla malattia. Così, in questi momenti, l’assistenza psicologica rappresenta uno strumento fondamentale. Ne è convinto, tra i vari esperti, anche Jacopo Casiraghi, psicologo e psicoterapeuta, responsabile del Servizio di psicologia al Centro Clinico Nemo Milano situato all’interno dell’Ospedale Niguarda e psicologo di riferimento dell’associazione Famiglie Sma, oltre che autore di “Lupo racconta la Sma”. Intervistato da ilfattoquotidiano.it, racconta quali sono i suggerimenti e le strategie per affrontare queste ore di grande incertezza e difficoltà.
Quali sono le misure portate avanti per il sostegno psicologico a distanza per i disabili gravi?
Spesso le persone con disabilità motoria hanno nel corso degli anni già attivato una consulenza, un lavoro psicologico a distanza: le nuove tecnologie ci permettono con WhatsApp, Facetime o Skype, solo per citare i più noti, di fare degli efficaci colloqui non stando a contatto diretto. Da questo punto di vista era una prassi già comune prima del diffondersi del Covid-19 pertanto ritengo che, proprio in questi giorni, anche da indicazioni del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi e degli Ordini degli Psicologi Regionali, sia sempre più importante garantire il sostegno psicologico a distanza non solo per le persone con disabilità ma per l’intera popolazione.
Come sta procedendo?
Ho convertito da due settimane tutta la mia attività di psicoterapia privata a distanza chiudendo “fisicamente” il mio studio, ma organizzando con chi desidera e “se la sente” dei colloqui a distanza. La trovo una scelta etica, non per la mia sicurezza, ma per ridurre il rischio di essere vettore inconsapevole del virus. Il suggerimento “se puoi resta a casa” deve entrare nella testa di tutti e io, nel mio piccolo, sto contribuendo non solo nei comportamenti durante il tempo libero ma anche in quelli professionali.
Quali sono i suoi suggerimenti per evitare allarmismo e prevenire ansia o psicosi?
Quello che al momento ci dicono i virologi è che il virus in circa il 20% dei contagiati provoca il ricovero ospedaliero, in alcuni casi persino la terapia intensiva. Non c’è evidenza che una persona con diversa abilità debba rientrare per forza in quel 20% maggiormente critico. Quello che suggerisco è un vademecum in quattro passi: 1) seguire le istruzioni dell’Istituto Superiore di Sanità e del governo; 2) filtrare con grande attenzione le fonti delle notizie. Purtroppo online sono reperibili numerose e confuse fake news che non aiutano a mantenere la calma; 3) pur rimanendo aggiornati è bene evitare di abbuffarsi di notizie catastrofiche e di infografiche circa l’aumento degli infetti e i morti. Si tratta di una epidemia e i numeri sono per forza terrorizzanti. Quello che possiamo fare è focalizzarci sui comportamenti corretti per evitare i rischi maggiori: igiene personale, evitare i luoghi affollati, se possibile rimanere a casa; 4) suggerisco di stare a domicilio ma di non esiliarsi dai rapporti interpersonali a distanza: telefonare, scrivere, chattare, è importante rimanere connessi alle persone che si amano.
Gestisce diverse decine di persone di età e genere differenti, con malattie diverse. Come si affronta questa fase?
Da quando è scattata l’emergenza Covid-19 il mio telefono e la mia professionalità sono a disposizione sia dei pazienti ospedalieri che delle persone che seguo privatamente. Tutt’oggi alcuni psicoanalisti nei loro studi si siedono alle spalle del paziente, per non vederlo mentre lo ascoltano o gli parlano. In fin dei conti al telefono è un po’ la stessa cosa. Lo psicologo lavora soprattutto attraverso l’ascolto, il dialogo, la ridefinizione dei problemi. Abbiamo pertanto la possibilità di poter lavorare e supportare le persone anche in caso di quarantena, persino chi è affetto da coronavirus. Al momento sto seguendo pazienti in attesa della risposta a seguito del tampone effettuato. Per questo anche in ospedale abbiamo convertito gli ambulatori psicologici in colloqui digitali, a distanza, via web. Ci tengo a ripeterlo: distanza fisica non significa mancanza di vicinanza emotiva. Le nuove tecnologie ci aiutano: impariamo ad usarle per il bene di tutti.
Ha avuto nelle ultime ore un’impennata di richieste di colloqui o invece si sono dimezzati gli interventi di aiuto psicologico?
Trovo che le reazioni siano state fra le più varie. C’è chi è molto spaventato o in ansia e quindi ha aumentato la richiesta di supporto. Chi al contrario è diventato fatalista decidendo che il covid-19 non è un suo problema. C’è che chi ha già perso il lavoro a causa dell’emergenza e quindi ha dovuto ridurre i colloqui privati e chi all’opposto mi ha cercato perché sapeva che lavoravo a telefono. L’emergenza è sanitaria a 360° e infatti il governo ha promesso nuove assunzioni anche fra gli psicologi che possano aiutare le persone, i malati e perché no, gli altri sanitari impegnati in questa dura sfida.
Quali sono le più grandi difficoltà riscontrate in questi giorni?
Alcune situazioni, già critiche prima di questa emergenza, ne hanno ovviamente risentito molto. Il clima di terrore e il disinteresse, la sottovalutazione e l’ironia che abbiamo visto e letto in queste settimane è sintomo di una schizofrenia comunicativa che non ha aiutato le persone più delicate e sensibili o problematiche. Ci siamo polarizzati fra gli ossessivi (già in isolamento prima che lo richiedesse la situazione o in coda per svuotare i supermercati) e i menefreghisti (i superficiali della movida a tutti i costi). Dobbiamo imparare il giusto equilibrio fra l’attenzione e il rispetto per le fasce più deboli della popolazione ed evitare le paranoie e il panico da fine del mondo. In generale le persone che mi contattano si sentono in un’atmosfera irreale, incredibile, dove molte delle certezze di base sono messe in dubbio (“Sopravviverò? Cosa succederà all’economia? Troverò da mangiare?”). Stiamo imparando ad affrontare un’emergenza inedita per la modernità occidentale da molti punti di vista viziata e abituata al benessere. Questo richiede una ridefinizione dei valori e degli obiettivi personali. Si tratta di un processo lungo che richiederà per alcune persone il supporto della psicoterapia.
Con il suo staff di psicologi avete ricevuto linee guida specifiche da seguire per determinate tipologie di pazienti?
Stiamo seguendo le direttive generali valide per tutta la popolazione. Come detto poi ci siamo organizzati per trasformare laddove possibile il lavoro a distanza. In ospedale i pazienti si incontrano ancora seguendo le direttive delle direzioni ospedaliere e della sanità lombarda, che fra l’altro prevedono l’igiene delle mani, l’utilizzo delle mascherine e della distanza di sicurezza.
Qual è il suo suggerimento per affrontare questi giorni delicati di emergenza?
Non esiste il “rischio zero” ma esistono comportamenti ponderati, pro-sociali ed etici che potranno far uscire la propria famiglia, città e nazione da questa emergenza. Il rispetto per gli altri, pensando agli anziani e alle persone con problematiche pregresse deve essere massimo. Il Covid-19 può insegnarci ad essere meno egoisti, oltre che il valore dell’educazione e del rispetto delle regole. Mi piacerebbe anche che il mondo potesse scoprire che non tutti gli italiani vogliono essere dei “furbetti”.