Addio all’esame di Stato in Medicina: la laurea diventerà abilitante. L’emergenza Coronavirus dà l’ultima spallata al vecchio sistema di abilitazione, da anni messo in discussione, recentemente alleggerito ma fin qui mai abolito.

Servono medici, servono subito e anche i neolaureati in questo momento possono tornare utili in reparto. Così nel cosiddetto “decretone” sul Covid c’è anche una norma che permetterà di essere considerati a tutti gli effetti “medici” immediatamente dopo la laurea (e il tirocinio pratico). Già dal momento dell’entrata in vigore, circa 4mila laureati che avevano concluso il corso e aspettavano solo di fare l’esame (doveva essere a fine febbraio, prima che l’emergenza travolgesse tutto), saranno automaticamente abilitati. Ma non solo: cambierà proprio il meccanismo di formazione.

Negli ospedali italiani mancano medici. Colpa principalmente dei tagli dell’ultimo decennio e del famoso “imbuto” tra laurea e scuola di specializzazione, che impedisce a tanti laureati di specializzarsi. Non è un problema di oggi, tanto che già un mese fa, quando il Coronavirus sembrava essere un fenomeno solo cinese, il Milleproroghe conteneva un provvedimento che permetteva di assumere medici non ancora specializzati (già dal terzo anno di scuola) o trattenere in servizio gli over 70 in pensione. Adesso che l’emergenza è totale, neanche quello basta più: non resta che arruolare i neolaureati, che però almeno devono essere abilitati all’esercizio della professione.

L’articolo sull’ “abilitazione all’esercizio della professione di medico-chirurgo” inserito nel decreto riscrive di fatto la parte conclusiva del percorso di formazione. Fino ad oggi, dopo la sessione di laurea gli aspiranti medici (come del resto altre categorie, dagli avvocati in giù) dovevano sostenere un esame di Stato, composto da una parte pratica (il cosiddetto Tirocinio pratico valutativo: tre periodi da quattro settimane anche non consecutivi, in area Chirurgica, medica e della medicina di Base) e una teorica (il classico quiz). Da tempo si discute della sua utilità: solo l’anno scorso (all’interno del “decreto Calabria”) l’ex ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli aveva provato ad accorciare i tempi, consentendo di anticipare all’interno dei corsi il tirocinio.

Restava comunque il doppio passaggio, che, per quanto considerato importante da più parti (una cosa è la tesi, un’altra i quiz di medicina che rilasciano l’abilitazione), rappresentava una lungaggine, visto che tra la laurea e l’esame di Stato potevano trascorrere anche diversi mesi. È il caso dei laureati che aspettavano la seconda sessione 2019, prevista per il 28 febbraio, dunque da circa 8 mesi: l’emergenza Coronavirus e la sospensione delle attività in ateneo ha fatto saltare la prova, lasciandoli in sospeso. Di qui la necessità di un intervento.

Il provvedimento nasce infatti come “deroga” per abilitare gli ultimi neolaureati che avrebbero dovuto fare l’esame nelle scorse settimane (circa 4mila in tutta Italia) e per cui in queste condizioni sarebbe stato difficile trovare un’alternativa. Una volta entrato in vigore, loro saranno automaticamente abilitati: medici, dunque arruolabili nell’emergenza.

Ma la norma non si limita a questo: “La proposta – spiega la relazione illustrativa – è finalizzata a superare, a regime, il meccanismo dell’abilitazione all’esercizio professionale per i laureati in medicina e chirurgia attraverso l’esame di Stato”. Dunque sarà valida anche per tutti quelli ancora in corso, e per i futuri iscritti: d’ora in poi, l’abilitazione si conseguirà col titolo accademico e la conclusione positiva del tirocinio. Nelle facoltà in cui questo è compreso nei corsi, la sessione di laurea coinciderà con l’abilitazione, altrimenti potrà essere svolto in un momento successivo. Di fatto, però, l’esame di Stato, inteso come prova teorica in sessione nazionale, è abolito.

“Tale scelta – conclude il testo – oggetto già da tempo di ampia riflessione, muove anche dalla considerazione che l’esame finale di laurea possa ricomprendere già quella valutazione circa la capacità all’esercizio della professione di medico, come peraltro è testimoniato dalla bassissima percentuale di bocciati all’esame di abilitazione”. Una scelta drastica, che però non sorprende: da tempo il governo sta facendo di tutto per abbreviare i percorsi e mandare a lavorare prima i medici, anche a costo di sacrificare la formazione. L’emergenza Covid nell’emergenza generale ha solo accelerato la rivoluzione.

@lVendemiale

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