La Spagna ha sbagliato molto.

Quando il bollettino della Protezione civile italiana del 7 marzo registrava 5800 persone contagiate, le autorità iberiche confermavano le autorizzazioni per la grande manifestazione femminista dell’8 marzo lungo le strade di Madrid. È vero, non si è ripetuta la grande partecipazione dello scorso anno, quando oltre 500mila persone si riversarono in strada nelle due principali città, Madrid e Barcellona, tuttavia, nel pieno dell’emergenza Covid-19, si sono ritrovati gomito a gomito nelle vie della capitale più di 120mila manifestanti.

Una follia, soprattutto se pensiamo che in quei giorni il virus si era già insinuato nel territorio iberico, erano oltre 400 i contagi e 10 i decessi.

Eppure il ministero della Salute, per lo svolgimento dell’evento, si limitava a raccomandare l’astensione dal prestare assistenza a manifestanti che presentassero sintomi influenzali, e nessun’altra misura precauzionale. Ci si è affidati un po’ al caso e un po’ a dati empirici che indicano come al virus siano esposti più gli uomini che le donne, le vere protagoniste di quella manifestazione. Dato peraltro confermato in questi giorni dal nostro Istituto superiore della Sanità che, nella casistica italiana, fissa il tasso di letalità in un 7,2% negli uomini e un 4,1% nelle donne.

Pochi giorni dopo la festa dell’8 marzo il bollettino dei contagi ha messo a nudo gli errori imperdonabili della politica: la Spagna registra più di 8000 persone positive, il secondo paese più colpito d’Europa.

Sciagurate scelte di una politica che risponde troppe volte al solo calcolo partitico, il movimento femminista iberico è potentissimo, sa mobilitare e riempire le piazze, anche per contrastare il radicato fenomeno della violenza di genere, vera piaga sociale.

I due principali partiti di governo, i socialisti del premier Pedro Sánchez e Unidas Podemos di Pablo Iglesias, si contendono quella preziosa fetta di elettorato, non a caso nei giorni che hanno preceduto l’8 marzo, non sono mancate le polemiche interne alla coalizione per intestarsi il progetto di legge sulla libertà sessuale, riforma-bandiera dell’esecutivo di sinistra.

Se Wuhan appare lontanissima, agli occhi dei politici spagnoli dev’essere sembrata molto distante anche l’emergenza sanitaria che stava scoppiando nelle regioni del nord Italia. Una crisi impalpabile, come se il nemico invisibile potesse toccare soltanto gli altri.

Una clamorosa sottovalutazione, come denuncia in un’intervista a El País il dottor Santiago Moreno, capo di infettivologia dell’ospedale Ramón y Cajal, uno dei principali nosocomi della capitale.

Gli spagnoli fino a ieri continuavano a sottostimare lo stato d’emergenza, i diffusi spostamenti dai centri metropolitani verso le seconde case al mare hanno favorito la diffusione del contagio, come pure gli assembramenti irresponsabili nei bar di Granada, le spiagge gremite di gente a Benidorm e in altre località della costa Blanca.

Solo nelle ultime ore si è deciso di cambiare rotta, mutuando le misure eccezionali adottate in Italia, così si è ‘chiuso’ il paese con il decreto d’emergenza approvato dopo un estenuante Consiglio dei ministri. Si impone el confinamiento – il divieto di spostamento per le persone -, la chiusura degli esercizi commerciali, con unica eccezione per supermercati, farmacie, tabacchi, parrucchieri (l’estetica evidentemente è bene necessario), e la sospensione delle attività dei tribunali. E poi misure istituzionali risolutive: avocazione al potere centrale di Madrid delle competenze in materia di sanità e di sicurezza pubblica, funzioni attribuite in larga parte alle regioni autonome (la Catalogna e i Paesi Baschi sono dotate di forze dell’ordine regionali), con possibilità di affiancamento dell’esercito ai corpi di polizia nelle attività di controllo.

Si è detto molto in questi giorni di un esecutivo lacerato, con divisioni nette tra quelli che intendevano agire con maggiore rapidità e altri che preferivano soluzioni attendiste, vedendo nelle disposizioni di ‘chiusura’ generalizzata il lasciapassare per una nuova stagnazione capace di affossare un’economia con elevato debito pubblico, alto tasso di disoccupazione (14%) e un deficit del 2,5%.

La linea interventista ha avuto la meglio, attingendo molto dall’esperienza italiana nei dispositivi di legge e nella comunicazione, persino con l’uso dell’hastag “io resto a casa” (#YoMeQuedoEnCasa) per convincere i propri cittadini a limitare aggregazioni.

In effetti il nostro paese, con l’emergenza sanitaria, ha assunto un ruolo centrale nel panorama della geo-politica, primi tra le democrazie liberali dell’Occidente a dover adottare provvedimenti drastici, fortemente limitativi delle libertà individuali e per l’economia, oggi siamo diventati un esempio positivo per tutti gli europei.

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