Era il magistrato che aveva dato la caccia a Felice Maniero e che, dopo l’arresto e il pentimento di “Faccia d’Angelo”, aveva contribuito a smantellare definitivamente la Mala del Brenta. Francesco Saverio Pavone, 76 anni, di origine pugliese, una vita trascorsa a Venezia, è morto per coronavirus nel reparto di Terapia intensiva dell’ospedale dell’Angelo di Mestre.

Era stato ricoverato un paio di settimane fa, assieme alla moglie e alla badante. Le sue condizioni di salute hanno destato subito preoccupazione. Era entrato in coma. Ma mentre la moglie si è ripresa ed è stata dimessa qualche giorno fa, all’anziano ex magistrato la ventilazione artificiale non è bastata.

“Aveva una grandissima capacità lavorativa e una grande integrità morale. – ricorda di lui l’ex magistrato Felice Casson, poi parlamentare del Pd – Nella sua attività, prima di giudice istruttore, poi di pubblico ministero, quindi di Procuratore della Repubblica a Belluno, non lasciava nulla al caso. Era un collega di cui mi fidavo ciecamente”.

Dopo aver lavorato per alcuni anni come cancelliere in Tribunale, Pavone aveva vinto il concorso alla fine degli anni ’70 ed aveva preso servizio nel palazzo di giustizia di Venezia il 20 maggio 1980. Inizialmente aveva svolto un ruolo giudicante in Tribunale. Poi era diventato giudice istruttore, ancora con il vecchio Codice di procedura penale.

In quegli anni si era occupato delle inchieste più impegnative sulla criminalità organizzata. Un vero mastino alle costole delle cosche di narcotrafficanti. Praticamente faceva il giro d’Italia delle carceri per interrogare le persone che venivano arrestate nel corso di memorabili retate. Ma si occupò anche dei sequestri di persona, una vera industria negli anni Ottanta.

Dopo il pentimento di Felice Maniero, avvenuto nel 1995, ricostruì i misfatti di una banda criminale sanguinaria che aveva terrorizzato il Nordest, e che venne condannata come associazione di stampo mafioso, anche se aveva operato a distanza di mille chilometri dalle realtà mafiose tradizionali.

Quando andò in pensione, nel 2016, ricordò così la sua inchiesta sulla Mala del Brenta: “Mi limitai a mettere insieme più fatti, alcuni addirittura antecedenti al 1982, tutti rimasti senza una risposta. Lo feci con caparbietà, certo che ci fosse un filo che li tenesse uniti. Sapevamo che nella zona operava Maniero, ma volli cercare un nesso e pian piano il mosaico si compose. La banda venne condannata in tutti i gradi di giudizio”.

E così spiegò il pentimento di Maniero: “Fu condannato a 33 anni in un primo processo, ma scappò quindici giorni prima che venisse emessa la sentenza nel luglio 1994. Dopo l’arresto sapeva che la condanna per altri gravi reati si sarebbe sommata ai 33 anni già inflitti dalla Corte d’Assise. Non sarebbe più uscito di galera. E così collaborò. Riuscimmo ad arrestare circa 500 persone”.

Pavone aveva chiuso la carriera come procuratore della Repubblica a Belluno. Si ricorda ancora il blitz della Finanza a Cortina per scoprire i furbetti dello scontrino, commercianti e albergatori che frodavano il Fisco. Lui commentò: “Come mai un commerciante si dimentica di rilasciare lo scontrino e invece non si dimentica mai di prendere i soldi? Una cosa piuttosto strana”.

Fu lui che fece processare l’ex sindaco di Cortina, Andrea Franceschi, esiliato in un Comune vicino. Alcuni politici sostennero che era animato da spirito di persecuzione. Quando andò in pensione potè finalmente commentare: “Che cosa strana! Quando si indagano i politici è sempre perché c’è persecuzione. Se invece si indaga un cittadino qualsiasi è normale. I politici purtroppo mal sopportano i controllori”.

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