Se la produzione automobilistica cinese sta lentamente tornando alla norma – i lavori sono ripresi in oltre il 90% delle fabbriche locali e i volumi produttivi sono arrivati al 40% –, in Italia l’emergenza Coronavirus sta mandando in letargo le attività industriali: FCA ha già disposto lo stop, fino al 27 marzo, della maggior parte dei propri stabilimenti, dislocati a Melfi, Pomigliano, Cassino, Mirafiori, Grugliasco e Modena. All’elenco degli impianti fermi, tuttavia, oggi vanno ad aggiungersi anche le altre fabbriche europee di Kragujevac (Serbia) e di Tychy (Polonia).

Come spiega la multinazionale italoamericana, lo stop consente al gruppo di “rispondere efficacemente all’interruzione della domanda del mercato, garantendo l’ottimizzazione della fornitura. In particolare, la sospensione della produzione viene attuata in modo tale da consentire al Gruppo di riavviare la produzione tempestivamente quando le condizioni del mercato lo consentiranno”.

Precedentemente, la pandemia aveva comportato una serie di misure igienicosanitarie per ridurre il rischio di contagio, come l’aumento della distanza tra i dipendenti nelle stazioni di lavoro e maggiori interventi di pulizia e igienizzazione in tutte le strutture, nonché l’applicazione di rigorosi controlli di sicurezza nelle mense e all’accesso di visitatori esterni e la diffusione del lavoro in remoto.

Ora FCA, che utilizzerà questa pausa per attuare revisioni dei processi di produzione e controllo qualità, “sta lavorando con i propri fornitori e partner affinché, nonostante la sospensione produttiva, gli stabilimenti possano raggiungere i livelli di produzione totali precedentemente pianificati nel momento in cui riprenderà la domanda da parte del mercato”. Fra i fornitori di FCA figurano anche la Marelli, il maggior produttore nazionale di componentistica per auto, che ha sospeso tutte le attività produttive negli stabilimenti italiani fino a mercoledì, e Brembo, leader mondiale della produzione di impianti frenanti, che ha deciso di bloccare i lavori sino al prossimo 22 marzo.

Stabilimenti fermi pure a Maranello, dove la Ferrari ha programmato uno stop dei lavori fino al prossimo 27 marzo: la causa è da attribuirsi all’approvvigionamento della componentistica, divenuto problematico. Sicché, gli operai rimarranno a casa, mentre gli altri impiegati ricorreranno allo smart working. Tutto ciò, va sottolineato, non avrà ripercussioni sugli stipendi né sul monte ferie dei dipendenti. Situazione simile per i concorrenti della Lamborghini, chiusa fino al 25 marzo: “È un atto di responsabilità sociale e di grande sensibilità nei confronti delle nostre persone per la situazione di emergenza, che stiamo vivendo in Italia in questi giorni e che si sta sviluppando anche all’estero”, ha spiegato il presidente e ad dell’azienda, Stefano Domenicali. Anche se a pesare sulla decisione sono state pure le pressioni delle diverse sigle sindacali a tutela dei lavoratori.

“Da giorni stiamo provando a non bloccare le produzioni, cercando le soluzioni più adeguate, consapevoli dei costi umani ed economici, a partire dalla Lombardia e dalle altre aree più colpite, ma la gran parte delle aziende non sono ancora del tutto preparate a gestire questa emergenza”, spiegano le segreterie nazionali della Fiom, della Fim e della Uilm: “Ma i lavoratori sono giustamente spaventati”. I rappresentati dei lavoratori, quindi, “ritengono necessaria una momentanea fermata di tutte le imprese metalmeccaniche”, perlomeno fino al 22 marzo, al fine di mettere in sicurezza e riorganizzare i luoghi di lavoro.

Da registrare il parere fuori dal coro dell’Anfia, l’associazione che rappresenta la filiera automobilistica. In una nota ha fatto sapere che, in assenza di provvedimenti di chiusura degli impianti da parte di altri paesi come Francia e Germania, la chiusura in Italia sarebbe penalizzante: “Le ipotesi di un blocco delle attività a livello regionale, in Lombardia e Piemonte o a livello nazionale, nella sola Italia con il resto d’Europa in piena attività, ci vedono fortemente contrari. In un settore globalizzato come il nostro essendo le catene del valore complesse e profondamente interconnesse, un fermo produttivo regionale o nazionale implicherebbe l’immediata perdita di commesse e clienti all’estero, con conseguenze devastanti sull’economia italiana, di cui l’automotive è un comparto trainante, e, in questa congiuntura, molto vulnerabile”.

Nel frattempo, sull’altra sponda dell’Atlantico, la United Auto Workers – il principale sindacato statunitense dei lavoratori del settore auto – General Motors, Ford e FCA hanno dato vita a una task force per rafforzare le misure di sicurezza a tutela degli addetti alla produzione e ai magazzini delle tre società: a guidarla saranno il presidente della Uaw, Rory Gamble, il presidente e ceo di GM Mary Barra, il presidente esecutivo di Ford, Bill Ford e il presidente e ceo di Ford, Jim Hackett, e l’amministratore delegato della Fca Michael Manley. “Questa è una situazione fluida e senza precedenti, e la task force agirà rapidamente basandosi sulle misure preventive ad ampio raggio che abbiamo messo in atto”, hanno dichiarato in una nota congiunta i tre costruttori: “Ci stiamo tutti unendo per aiutare a mantenere le nostre forze lavoro sane e al sicuro”.

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