In attesa di un vaccino, ma ci vorranno mesi, e di una terapia per il nuovo coronavirus, la ricerca scientifica nell’immunologia continua e la scoperta di nuovi geni regolatori del sistema immunitario potrebbe essere utile anche in chiave della battaglia più emergenziale del momento: quella contro Covid 19, scatenata da Sars Cov2. Questi geni sono stati individuati da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di ricerca in biomedicina (Irb) di Bellinzona, università della Svizzera italiana, e dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano.

In uno studio pubblicato su Nature Immunology, il team ha identificato “una rete molecolare” che da un lato permette alle nostre naturali difese di contrastare l’attacco di agenti patogeni come anche i virus, dall’altro evita risposte eccessive che possono danneggiare l’organismo. “Capire la regolazione del sistema immunitario – sottolineano gli scienziati – è fondamentale per la lotta a tanti tipi di malattie, incluse le malattie infettive, come la pandemia di Covid-19”.

“Abbiamo identificato una rete molecolare che bilancia le risposte dei nostri linfociti”, soldati del sistema immunitario, spiega Silvia Monticelli, ricercatrice Irb alla guida dell’équipe. “Le attività di queste cellule – ricorda – si basano su un delicato equilibrio: da un lato devono assicurare la difesa dell’organismo, dall’altro devono limitare il rischio di potenziali danni. Una risposta immunitaria eccessiva può infatti ledere i tessuti e proprio questo danno può essere all’origine di molte malattie infiammatorie croniche, come la sclerosi multipla. Viceversa, una risposta troppo debole può favorire lo sviluppo di altre gravi patologie, fra cui il cancro. Con il nostro lavoro abbiamo individuato una rete di geni regolatori, concatenati fra loro, che possono favorire o reprimere la reazione pro-infiammatoria e potenzialmente patogenica dei linfociti T”.

In particolare, gli studiosi hanno identificato un regolatore della trascrizione dei geni, BHLHE40, come fattore chiave di questa regolazione. A sua volta BHLHE40 reprime direttamente l’espressione di un enzima, la Regnase-4, capace di degradare molecole infiammatorie che sono fondamentali per una corretta risposta immune, ma che possono risultare dannose se prodotte in eccesso.

“Quando abbiamo iniziato questo studio, circa 5 anni fa – riferisce Stefan Emming, ricercatore dell’Irb e prima firma dell’articolo – volevamo capire che cosa rende una cellula T infiammatoria e potenzialmente patogenica. Grazie a un intenso lavoro di squadra abbiamo identificato un meccanismo molecolare che regola l’attività dei linfociti, in modo da limitare il rischio di infiammazioni croniche e malattie autoimmuni“. Nel nuovo lavoro, continua Niccolò Bianchi dell’Irb, co-autore dell’articolo, “abbiamo scoperto un network molecolare che regola la produzione di citochine infiammatorie nei linfociti T, e abbiamo identificato il repressore BHLHE40 come un fattore chiave per questa regolazione. Questa scoperta importante amplia le nostre conoscenze riguardanti malattie infiammatorie croniche”.

Sara Polletti, ricercatrice Ieo e co-primo autore dell’articolo, si dice “molto orgogliosa del mio contributo a questo progetto collaborativo e multidisciplinare, che ha portato a risultati molto importanti con implicazioni che riguardano vari aspetti delle risposte immuni, potenzialmente anche a livello di immunoterapia dei tumori“. Gioacchino Natoli, group leader del dipartimento di Oncologia sperimentale dell’Irccs fondato da Umberto Veronesi, evidenzia come “l’immunoterapia dei tumori e l’immunomodulazione di malattie autoimmuni” possano essere viste come “due facce della stessa medaglia. In entrambi i casi vogliamo regolare l’attività dei linfociti, solo che mentre nei tumori questa attivazione deve essere massimizzata, nelle malattie autoimmuni deve essere limitata”. “In generale – conclude Monticelli – la ricerca su tutti gli aspetti della regolazione delle risposte immunitarie è veramente fondamentale per capire cosa succede in tanti tipi di malattie, incluse le malattie infettive, come stiamo purtroppo vedendo oggi con la pandemia del Covid-19. La speranza è sempre quella che ricerche vigorose in questo senso ci portino a nuove terapie, anche se la ricerca richiede tempo e pazienza, e i risultati quasi sempre si vedono solo a distanza di anni“.

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