I musei di Roma sono chiusi per l’emergenza Coronavirus, ma nella Capitale ci sono circa 100-150 addetti che comunque escono di casa per andare a “lavorare”. Virgolette d’obbligo, perché non è chiaro quali siano, a porte chiuse, le mansioni da espletare. In giornate normali, si tratta di personale che in gran parte svolge compiti come assistenza di sala e accoglienza ai visitatori. Con i musei fermi, però la storia cambia. “Usciamo di casa, in molti prendiamo i mezzi pubblici. Arriviamo a lavoro, stiamo 6-7 ore a guardare il telefonino o a leggere un libro. Poi torniamo indietro. Ma potremmo evitarlo, vista l’emergenza”, è il racconto a ilfattoquotidiano.it di uno dei dipendenti di Zètema, la municipalizzata capitolina che fornisce gli operatori museali al Comune di Roma.
La domanda d’obbligo è: perché queste persone non vengono esentate, contribuendo così al lockdown imposto dal governo? Il presidente di Zètema, Remo Tagliacozzo, spiega che “dove non è stato possibile attivare la modalità in lavoro agile, in ragione dell’attività lavorativa svolta, il presidio fisico delle persone è stato ridotto al minimo, circa il 15% del personale tra uffici di staff e servizi al pubblico”, ma comunque “l’azienda è tenuta ad assicurare sempre vigilanza degli spazi e delle collezioni permanenti e temporanee, pulizia e manutenzione, guardiania e sicurezza”.
Il motivo, però sarebbe prettamente burocratico. Pur essendo una società pubblica, Zètema agisce come un privato ed è obbligata a prestare il proprio servizio al Comune di Roma, che solo a quel punto è autorizzato a saldare per intero la fattura derivante dal contratto di servizio.
“Non andare sul posto di lavoro significherebbe finire in cassa integrazione all’80%, perdere dei soldi dallo stipendio, perché non sono mansioni che si possono recuperare in smartworking”, afferma poi Natale Di Cola di Fp Cgil. “Ci siamo assicurati che lavorino in sicurezza e rispettando le distanze”, aggiunge Giancarlo Cosentino, di Cisl Fp.
Non la pensa così Serenetta Monti, delegata Usi (Unione sindacale italiana): “La guardiania viene svolta da personale di vigilanza, le opere sono allarmate. I lavoratori Zètema non hanno alcun potere sugli eventuali furti, se non quello eventualmente di chiamare la polizia. Altrimenti non si spiega perché di notte i musei sono vuoti. Molti di loro sono anche soggetti a rischio”. E aggiunge: “Già ci sono tante persone costrette a lavorare in condizioni precarie, come gli autisti degli autobus e i vigili urbani. Quando si può, andrebbe evitato, spetta all’azienda e al Campidoglio trovare soluzioni adeguate per tutelare la salute e i diritti di tutti”.
E dire che proprio nella giornata di martedì, l’assessore capitolino al personale, Antonio De Santis, ha lanciato la casella email romacapitalesmart@comune.roma.it dove i dipendenti capitolini potranno inviare suggerimenti per “implementare il lavoro agile”, mentre la sindaca Virginia Raggi ha lanciato la campagna social #iononmiannoio. Chissà se decideranno di partecipare anche gli operatori dei musei capitolini.