Tabula rasa dopo due album fortunati come “Di20” (2015) e “2640” (2018) che l’hanno consacrata come una delle giovani cantautrici più promettenti della musica italiana. Francesca Michielin non è certamente una artista che si adagia sugli allori ed ecco che ha chiamato a raccolta undici colleghi per undici brani per l’album “Feat (Stato di natura)”, che racchiude un universo musicale che abbraccia diversi generi tra urban e analogico. Il risultato è spiazzante, ed è anche la prima reazione dei fan per stessa ammissione di Francesca, però “Feat (Stato di natura)” sottolinea come l’anima polistrumentista della cantautrice si sia sbizzarrita al pieno delle sue possibilità. Il primo singolo è stato “Cheyenne” con Charlie Charles, uscito lo scorso novembre, poi la pubblicazione di tre brani: “Gange” con Shiva, “Riserva Naturale” con Coma_Cose e “Monolocale” con Fabri Fibra. Il secondo singolo ufficiale è “Stato di Natura” con i Måneskin a tutto rock.
Oggi passi dal rock, alla musica elettronica alla trap, passando per la musica urban, voglia di cambiare tutto?
Mi sono lasciata prendere dalla mano e mi sono resa conto di aver toccato la musica in tutte le sue forme. Il concept di questo disco parla di contrasti, così ho fatto quando l’ho composto, sintetizzando moltissimi sound. A questo si aggiunga che sono una grande fan della musica suonata. Nei miei primi due dischi c’era l’elettronica, qui ora mi sono sbizzarrita tanto virando verso la musica analogica più che digitale e sono contenta perché il risultato che ne è venuto fuori è l’universo di storie, così diverse tra loro.
Con gli album precedenti Di20 (2015) e 2640 (2018) hai fatto un percorso delineato. Con “Feat” hai cambiato radicalmente. Tutto ciò ha disorientato i tuoi fan, che amavano la “vecchia” Francesca?
Ammetto che quando sono usciti i primi brani di questo nuovo progetto (‘Gange’ con Shiva, ‘Riserva ‘Naturale’ con Coma_Cose e ‘Monolocale’ con Fabri Fibra) ci sono state due fasi di reazione da parte dei miei fan: la prima di spiazzamento ‘cos’è questo?’ (ride, ndr), la seconda reazione, invece, è stata molto più di condivisione e felicità perché avevo sperimentato. La verità è che a 25 anni e venendo da un disco molto personale, perché ‘2640’ era una istantanea di quel momento lì, non potevo assolutamente ripetermi. Perciò ho voluto fare qualcosa di completamente diverso e ho cercato di mettermi alla prova, non per il gusto di farlo per farlo: c’è sempre un senso dietro tutte le cose che faccio. Sono consapevole che il crossover è molto forte, ma è anche coerente con quello che ho ascoltato da piccola dai Rage Against The Machine ai Red Hot Chili Peppers. Difendo sempre quello che produco e diverse cose ne ho prodotte nel mio percorso, ma sempre con la massima sincerità e visione, senza furbizia né strizzatine d’occhio. Comunque nel complesso ho ricevuto feedback assai positivi da chi mi ascolta.
Il tema dell’incontro è fondamentale in “Feat”, undici collaborazioni, ma sostieni anche che “incontrarsi è difficile”, come mai?
E più semplice scontrarsi, elencare le differenze, usarle per allontanarsi. Credo, però, non ci sia specchio migliore se non nell’altro. Le differenze sono ancora belle. Secondo me, quando non sai bene da che parte andare il contrasto e il confronto – che hanno la stessa radice – vanno in collisione per evidenziare il concetto dell’identità. Se non ti fai ‘contaminare’, non sei completa.
In “Stato di Natura” ti scagli contro la violenza verbale e gratuita, tema attuale se si pensa al fenomeno del bodyshaming. Come mai?
In generale prende il titolo da un concetto filosofico del ‘600: se uomini fossero rimasti vivere allo stato brado si sarebbero auto-eliminati, ecco perché l’avvento del concetto di città, le leggi e lo stato di diritto. In questo periodo mi è tornato alla mente perché stiamo vivendo un momento tecnologico e virtuale, in cui abbiamo a disposizione tutto, ma siamo tornati allo stato ‘animale’, dimenticandoci l’aspetto umano dei rapporti, lasciando spazio alla violenza verbale di questi tempi. Per fortuna ho dei fan molto educati, ma in generale leggo e vedo cose aberranti soprattutto sulla figura della donna, oggetto di discussioni assurde. Per questo in questa canzone ho voluto citare degli stereotipi e per non essere retorica ho voluto che Damiano dei Maneskin desse il suo punto di vista.
In “Yo No Tengo Nada” si invita ad andare oltre all’immagine della donna del nord-est fredda, è autobiografico?
È verissimo che noi ragazze del Nord-Est veniamo viste come fredde e schive, ma in realtà sappiamo essere passionali ed emotive. Io ed Elisa ci siamo divertite a cantare questo brano di contrasti con un sound tipicamente mediterraneo proprio perché siamo entrambe artiste del Nord-Est e cantiamo di come dietro una distaccata e un po’ scontrosa ci sia un’emotività molto forte, il fascino della bellezza e la semplicità della gioia.
Tornerai al Festival di Sanremo?
Mi ha dato tantissimo quel palco e sarò sempre grata al Festival. Ci sono tornata quest’anno ospite di Levante con Maria Antonietta ed è stato bellissimo rivedere tutte le persone che lavorano dietro le quinte. Per ora sono concentrata su questo progetto, ma poi chissà nella vita mai dire mai. Sono più proiettata al concerto che terrò al Carroponte di Milano il 20 settembre.
“Lavati le mani per salvare il mondo intero” cantavi in “Comunicare” nel 2018, quasi una profezia considerando il Coronavirus.
È un evento straordinario, complesso e senza precedenti e con una cassa di risonanza pazzesca, grazie anche alla forza dei social. Il problema è che si dicono troppe cose e da tutte le parti. C’è molta confusione e per questo motivo la psicosi dilaga. Molte cose le capiremo più avanti, ma ora e subito dobbiamo assolutamente attenerci alle regole e fare sacrifici, perché più ne faremo e più facilmente ci libereremo di questa malattia.