Non ci voleva il coronavirus per mostrarci che l’ambiente della montagna, nonostante un certo tono di superiorità che si danno in tanti, non è affatto un mondo a parte, soprattutto rispetto al turismo di cui, invece, vorrebbe rappresentare un particolare elitario.
In questi giorni è successo di tutto: il soccorso alpino ha dovuto ripetere ogni giorni gli appelli al buon senso, perché elicotteri e personale già dirottati verso la grande emergenza nazionale sono dovuti tornare a intervenire tra le solite montagne, per un mountain-biker in difficoltà o una sciatrice caduta male; il Club alpino italiano ha cercato di adeguarsi prontamente alle disposizioni governative, sostituendo con lo slogan “Le montagne sanno aspettare. #iorestoacasa”, il classico motto “Excelsior!”, ma per giorni alcune sezioni hanno continuato a tenere i corsi, con il trucchetto di suddividere allievi e istruttori in gruppi di 4-5 persone; una guida alpina è stata addirittura fermata con due clienti sotto il Gran Sasso; alcuni sci-alpinisti (tra cui due cittadini di Sala 1, rimasti alla milano-non-si-ferma) si sono presentati in val Rendena con tanto di attrezzatura sfacciatamente fissata sul tetto dell’auto… Per non dire degli sciatori italiani che hanno formato code al traforo e agli impianti di Chamonix, rimasti aperti qualche giorno in più dei nostri.
Non manca chi, giocoforza, ha preso coscienza di una situazione insostenibile. Ci sono località celeberrime per le seconde case di Vip&Nip, come Courmayuer o Madonna di Campiglio, dove gli abitanti ora guardano in cagnesco tutti i non residenti che sono rimasti asserragliati in montagna. A Cortina, addirittura, il sindaco è passato in pochi giorni dalle proteste formali per l’annullamento del campionato del mondo di sci (decisione contro cui era insorto anche il presidente del Veneto Zaia) al minaccioso invito contro i turisti da seconde case: “se venite o restate adesso, rischiate di commettere un illecito penale”…
Tutti insieme i sindaci della Comunità Montana di Sondrio, il 15 marzo, hanno chiesto al governatore Attilio Fontana e al premier Giuseppe Conte di proteggere la Valtellina dagli sfollati delle seconde case. Il presidente leghista della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti, forse dopo un brutto sogno per il risveglio dal letargo del “suo” nemico Orso M49, ha addirittura minacciato di non far curare i non residenti.
E il presidente dell’Ordine dei medici ha dovuto ricordargli che non sarebbe costituzionale un rifiuto del genere, oltre che una violazione del giuramento d’Ippocrate (ma è la seconda sberla ufficiale in pochi giorni, visto che aveva appena rimproverato a Fugatti la ritardata chiusura degli impianti da sci, causa dell’allargamento dell’epidemia alle Dolomiti). Alla fine, in Alto Adige, dal 15 marzo, il governatore Arno Kompatscher vara nuove ordinanze per rimandare a casa i non residenti, e il giorno dopo anche la Val d’Aosta si chiude ai non valligiani per decreto.
Ci sono stati invece imprenditori del settore, magari già molto sensibili al tema ecologico, come Michil Costa in Alta Badia, che hanno subito compreso quanto questa emergenza offra, più ancora del riscaldamento globale, l’opportunità per far maturare una nuova coscienza, e ne stanno parlando da settimane (vedi il blog michilcosta.com). E testimonial dei nuovi sport estremi, per esempio il climber da 9b Stefano Ghisolfi o il sei volte campione mondiale di corsa in montagna Marco De Gasperi, hanno annunciato subito di aver scelto di ritirarsi nell’allenamento domestico, indicando volentieri a tutti come fare, attraverso i canali web (vedi montagna.tv e planet.mountain).
Ecco, oggi si pone in modo davvero ultimativo e radicale davanti a tutti gli appassionati di montagna e al variegato mondo della montagna l’occasione di un ripensamento profondo della massificazione e della banalizzazione consumistica, di un modello di sviluppo troppo dipendente dallo sci e dalla speculazione edilizia, di pratiche pseudo-sportive esclusivamente legate alla performance e sempre più indifferenti al contesto naturale e umano, di retoriche fasulle della genuinità buone ormai per le caricature del marketing, o di uno sfibrato ‘super-omismo’ delle sfide, funzionale solo ai tanti ‘selfie-centi’ di complemento.
Prima di pensare a quanti soldi pubblici sono necessari, è questa, di un nuovo turismo più consapevole, la sfida da affrontare, nell’immediato anche nel mondo alpino. Perché sarà pur vero che “le montagne sanno aspettare”, ma non troppo. Ripartire lungo la stessa linea non ha senso: ripetere “ancora di più”, in fondo, porta solo a una conclusione tragica, come suggerisce la poesia stessa “Excelsior!” del 1841, in cui l’americano Henry Wadsworth Longfellow canta la sfida ardimentosa e mortale (sic) di un viandante alla montagna.