Secondo i lavoratori la multinazionale non vuole rinunciare all'eccezionale opportunità di business offerta dalla chiusura di tutti gli esercizi che vendono prodotti non essenziali. E così è in ritardo sull'implementazione delle misure di sicurezza. Ma l'azienda: "Siamo in regola"
I lavoratori del più importante centro di distribuzione di Amazon in Italia, quello di Castel San Giovanni, sono in sciopero, a oltranza, dalle 20 di lunedì 16 marzo. Lo stop è stato deciso dopo che le richieste unitarie dei sindacati sulle misure di sicurezza legate al coronavirus all’interno dell’azienda, basate sul protocollo firmato sabato d’intesa con il governo, sono state respinte.
“Il problema principale è quello del distanziamento di un metro, al momento impossibile da mantenere ”, spiega a ilfattoquotidiano.it Pino De Rosa, segretario Ugl Terziario di Piacenza. “Nelle postazioni si lavora vicini, e anche in altri momenti si sta insieme: ai tornelli, negli spogliatoi, durante i briefing, sempre senza mascherina, perché Amazon non ne ha distribuita neanche una in queste tre settimane. Noi avevamo chiesto una pausa di qualche giorno per sanificare gli ambienti e riorganizzare i turni, ma la risposta è stata negativa. Quando abbiamo capito che non sarebbe stata garantita neanche la fornitura dei dispositivi di sicurezza individuali, abbiamo deciso di interrompere la trattativa”.
Amazon ha affidato la sua risposta a una nota arrivata dopo la proclamazione dello sciopero: “Stiamo seguendo rigorosamente le indicazioni fornite dal governo e dalle autorità sanitarie locali nell’implementare in tutti i siti le giuste misure per contenere l’emergenza sanitaria in corso”, è la replica. In questi giorni – si legge ancora nella nota – l’azienda sta dando priorità “alla spedizione di generi alimentari, prodotti per la salute e la cura personale, oggetti necessari per lavorare da casa, libri e giocattoli per bambini”.
Secondo le stime dei sindacati, oltre la metà dei 1600 lavoratori a tempo indeterminato dello stabilimento di Castel San Giovanni si sono fermati. “Abbiamo tentato il possibile, con senso di responsabilità ed evitando in tutti i modi che si aprisse il conflitto in questo momento, ma è davvero impossibile far capire ad Amazon cosa voglia dire dignità e partecipazione dei lavoratori. Neanche quando in gioco c’è la salute”.
L’azienda insomma non ne vuole sapere di ridurre i turni e i carichi di lavoro, che in questi giorni sono anzi aumentati: l’e-commerce sta beneficiando della chiusura di tutte le attività commerciali che non vendono beni di prima necessità, ancora di più ora che anche molti marchi della grande distribuzione stanno vietando al loro interno l’acquisto di prodotti “non di prima necessità”, come ad esempio gli articoli di cancelleria.
Ma nello stabilimento di Castel San Giovanni la sopportazione dei lavoratori era ormai al limite: “Ci troviamo in una delle zone più colpite dal coronavirus in Italia”, spiega Elisa Barbieri, della Filcams Cgil di Piacenza. “Qui l’allarme è scattato prima, vista la vicinanza della zona rossa del lodigiano: da tre settimane i dipendenti vanno al lavoro con grande preoccupazione”.
In questo periodo, fanno sapere i sindacati, si è registrato anche un caso di contagio tra i lavoratori, così come nello stabilimento di Torrazza Piemonte, ma questo non ha portato alla chiusura. “Con cosi tante persone al lavoro negli stessi spazi dovrebbe esserci grande attenzione alla sicurezza, invece in queste settimane le misure di tutela sono state totalmente insoddisfacenti. Noi abbiamo colto il protocollo come un’occasione per trovare un nuovo accordo con l’azienda, ma Amazon non ci ha dato disponibilità e ha chiesto tempo: il tempo però ormai è finito”.