Mentre in Italia la popolazione ha iniziato a rendersi conto dell’importanza del “lockdown” per contrastare la diffusione del coronavirus, il governo inglese mette al primo posto il “business as usual” a scapito delle fasce più vulnerabili della popolazione. Boris Johnson ha deciso di prendere delle “non precauzioni” nei confronti dei residenti nel Regno Unito rispetto alla pandemia da Covid-19. L’unica indicazione data riguarda coloro che presentino sintomi come febbre e tosse frequente. Per queste persone – e per chi abita nella stessa casa – è indicata una quarantena di circa quindici giorni. Se le condizioni del malato peggiorano, l’Nhs (National Healthcare System) invita a chiamare il numero di emergenza per procedere eventualmente con un tampone – dopo una intervista telefonica che ne valuti l’opportunità.
A parte questa breve guida, non è stata attuata alcuna misura obbligatoria da parte del governo per evitare la diffusione di un virus estremamente contagioso. All’inizio, il leader conservatore ha adottato una retorica molto dura nei confronti della strategia da auto-isolamento, dicendo che era importante continuare le attività quotidiane per sperimentare “l’immunità di gregge” – immunità che senza un vaccino difficilmente può svilupparsi, come ribadito da molti esperti. Per fare un esempio, la scorsa settimana Johnson ha criticato gli atenei che hanno cominciato a mettere in atto misure per il contenimento dei contatti, come le lezioni e i ricevimenti tramite piattaforme virtuali. Molti studenti però, con i primi casi negli stessi istituti, non si sentono al sicuro nei locali della propria università e di conseguenza, le biblioteche si sono letteralmente svuotate già dall’inizio della settimana scorsa. Con la conferenza stampa di lunedì 16 marzo, la retorica governativa è decisamente cambiata: con l’aumento vertiginoso dei casi, il governo sta incoraggiando il “social distancing”. Sono dunque sconsigliati eventi pubblici, il ritrovo in pub e ristoranti ed è incoraggiato il lavoro da casa – in particolare per le categorie più a rischio.
Nel frattempo, nella capitale inglese si respira un clima surreale. Da una parte, le strade rimangono affollate e poche persone si preoccupano di portare una mascherina. Inoltre, coloro che le indossano vengono frequentemente scherniti; proprio qualche giorno fa dei ragazzi hanno simulato dei colpi di tosse verso di me ridacchiando, mentre camminavo con una mascherina sul viso. Ci sono ancora bar, ristoranti e club aperti, alcuni di questi discretamente affollati (come lo scorso sabato sera). In tutto il paese si sono tenuti concerti e grandi eventi con migliaia di persone come per esempio il concerto a Cardiff degli Stereophonics dello scorso 14 marzo e la mezza maratona a Bath del giorno dopo. Dall’altra parte però, sono cominciate delle vere e proprie razzie nei supermercati. Carta igienica, pasta, riso, sapone, uova, disinfettanti per la casa e altri prodotti sono diventati quasi introvabili. La scorsa domenica uno dei miei coinquilini ha ripreso con il cellulare delle scene di litigi aggressivi in un grosso supermercato a Holloway (Nord di Londra). Per quanto ancora frequentati, molti pub, ristoranti, palestre e altri luoghi di solito pieni di gente hanno drasticamente ridotto la propria clientela. Al momento però il governo, per quanto abbia suggerito di non recarsi in questi posti, non ne ha ordinato la chiusura.
Per queste ragioni, noi italiani in Gran Bretagna, che conosciamo molto bene quello che sta succedendo nel nostro paese, siamo molto preoccupati. Siamo preoccupati perché siamo consapevoli che il sistema sanitario nazionale inglese non è efficiente come quello italiano e già in Italia sappiamo come il personale negli ospedali stia soffrendo. Sappiamo inoltre che se ci sarà un aumento drammatico dei malati, di conseguenza aumenterà il numero di coloro che avranno bisogno della terapia intensiva e soprattutto di sistemi di respirazione assistita. A quel punto nascerà il problema del numero di respiratori polmonari disponibili. Sappiamo anche che non sono solo le persone anziane con più di sessant’anni a rischio, ma anche tutti coloro che a prescindere dall’età soffrano di altre patologie pregresse.
Noi italiani sentiamo i racconti delle nostre famiglie, amiche e amici che ci ricordano che non sono solo queste categorie più vulnerabili a necessitare eventualmente di terapia intensiva, ma che delle volte anche soggetti perfettamente in salute e giovani hanno avuto bisogno di usufruire dei così detti “ventilatori”. Noi italiani sappiamo infine che la strategia di maggior cautela, per non far collassare il sistema sanitario, consiste nell’adottare tutte le possibili misure atte a ridurre le occasioni di contagio, rimanendo a casa. Per questo l’appello, non solo ai miei connazionali ma a tutti i residenti del Regno Unito è quello di cambiare radicalmente le proprie abitudini e di ridurre drasticamente le situazioni di contatto e possibile trasmissione del virus e per chi può, restare a casa in quarantena.