Interi scaffali sbarrati, corsie chiuse con i nastri adesivi e ben in in vista cartelli con scritto “non è possibile acquistare i prodotti presenti in quest’area“. È la scena immortalata in moltissimi scatti pubblicati in questi giorni sui social da persone che lamentano il divieto imposto da alcune grandi catene di supermercati alla vendita di pennarelli, quaderni, cancelleria, giochi per bambini, ma anche biancheria e prodotti per il giardinaggio. Con tanto di racconti di persone arrivate alla cassa con le matite colorate e bloccate perché “non beni di prima necessità”. Il punto è proprio questo, la definizione di “bene di prima necessità“. Il decreto della Presidenza del Consiglio dell’11 marzo impone infatti che possano stare aperti solo i negozi che vendono generi alimentari o tutta una serie di beni ritenuti essenziali elencati in allegato al dcpm. E gli articoli di cancelleria o i giocattoli per bambini non rientrano tra questi, a differenza invece ad esempio delle cartucce per le stampanti o degli accessori per pc, per i quali è consentita anche l’apertura degli appositi rivenditori. Non solo, a questo si aggiunge anche l’esigenza di far rispettare ai clienti la raccomandazione di rimanere all’interno del negozio il tempo strettamente necessario per gli acquisti, così da evitare affollamenti. La cosa però sta suscitando non poche perplessità dal momento che ci sono non solo ragazzi alle prese con i compiti ma anche persone che lavorano da casa piuttosto che bambini che fanno il compleanno, ai quali risulta difficile spiegare perché non si può comprare il gioco dei desideri.
Cosa prevede il decreto e le ragioni del blocco – Con il dpcm dell’11 marzo il governo ha imposto serrata generale fino al 25 marzo da cui restano ovviamente esclusi i servizi essenziali, quali appunto i negozi che vendono alimentari ma anche le rivendite di prodotti tecnologici, di elettronica, i ferramenta, chi vende articoli igienico-sanitari, i negozi di animali, gli ottici, chi vende detersivi e altri articoli per la casa. Dal momento che i supermercati della grande distribuzione ospitano al loro interno svariate categorie di merci, inglobando al loro interno prodotti che fino a cinquant’anni fa venivano venduti da negozi specializzati, le indicazioni previste dal decreto si applicano anche al loro interno. Ecco perché lo stop alla vendita di cancelleria, giocattoli, prodotti per la cura delle piante e biancheria. Non solo, dal momento che solitamente c’è un’ampia offerta disponibile, questo comporterebbe un ulteriore periodo di permanenza all’interno del supermercato, con l’inevitabile conseguenza di far aumentare anche i tempi d’attesa per le persone in coda all’esterno dell’esercizio commerciale. C’è infine un ultimo aspetto da considerare: quello della cosiddetta concorrenza sleale nei confronti dei rivenditori specifici come cartolerie, vivai o negozi di biancheria, che sono stati costretti alla chiusura dal decreto governativo al contrario dei supermercati.
Le proteste sui social – In molti stanno facendo notare però sui social come queste limitazioni – in particolare per i prodotti di cancelleria – unite alla chiusura delle cartolerie possano creare problemi dal momento che a casa ci sono bambini e studenti che potrebbero aver bisogno di quaderni, penne o colori per i compiti o anche solo dei nuovi giochi per riempire il tempo libero. Senza contare poi tutti coloro che sono in telelavoro e magari hanno bisogno di un blocco per gli appunti piuttosto che un evidenziatore. “Quaderni, matite e pennarelli servono per fare i compiti e i disegni che i bambini comunque stanno facendo anche a casa, e se le cartolerie sono chiuse dove li compriamo?“, è il senso delle proteste. E così chi ha necessità è costretta a comprare online, su Amazon o altre piattaforme, con il rischio che si inneschi un meccanismo speculativo sui prezzi di questi oggetti come già avviene ad esempio per l’Amuchina o le mascherine, oltre al fatto che si grava sul sistema della logistica e dei corrieri ora in difficoltà.
Le proteste della grande distribuzione – Di fronte alle crescenti polemiche sui social e anche per cercare di arginare la corsa all’acquisto online, Federdistribuzione si sta muovendo per cercare di avere e fare chiarezza sulla vendita di queste categorie di beni. Sulla questione è intervenuto anche Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad: “Capisco tutto, siamo in un momento particolare, ma proprio per questo aggiungere complicazioni e limitazioni crea confusione per i nostri dipendenti che sono già sotto pressione. E anche per i consumatori. Dobbiamo essere liberi di vendere tutto quello che è sui nostri scaffali perché non ci è sempre possibile creare confini tra le diverse categorie di prodotti dentro i punti vendita. La norma rischia di creare problemi di ordine pubblico, ho visto clienti arrabbiati perché non potevano acquistare un paio di mutande. Credo che la merce esposta debba poter essere venduta tutta. Senza contare che ogni regione e ognuno interpreta la norma a modo suo”.