La distanza di sicurezza riconosciuta dalle autorità sanitarie a ogni livello per evitare il più possibile la diffusione del coronavirus è quella di un metro. Ma per chi lavora, in particolare in fabbrica, questo limite può risultare impossibile da rispettare. Alla soluzione di fermare la produzione o quantomeno rallentarla ora se ne aggiunge un’altra ed è il governo a suggerirla: la distanza minima si può violare, l’importante è proteggersi con un dispositivo di sicurezza individuale, che il decreto ‘Cura Italia’ appena varato – nella versione entrata in cdm lunedì, visto che il testo definitivo non è ancora stato pubblicato in Gazzetta – individua nella normale mascherina chirurgica.
“Dall’inizio di questa emergenza – ricorda Michele De Palma, segretario nazionale della Fiom Cgil – il governo dice di prendere provvedimenti sulla base delle indicazioni della comunità scientifica. Due su tutte: mantenere la distanza minima di un metro e usare mascherine che non permettono il filtraggio. Non è che ora, per decreto, si può decidere che le mascherine chirurgiche sono sufficienti”. Sulla stessa linea anche Rocco Palombella, segretario generale della Uilm: “Le mascherine chirurgiche possono servire per trasferirsi da un reparto all’altro o per andare in bagno, ma non durante l’attività lavorativa: questa misura non è giustificabile in alcun modo. Se sugli strumenti di sicurezza da utilizzare, e in particolare su questo punto, non ci sarà una condivisione con le aziende, noi metteremo in campo iniziative di lotta e di sciopero”.
Nel protocollo firmato sabato da sindacati, imprenditori e governo, in cui si stabiliscono alcune regole per contenere la diffusione del coronavirus negli ambienti di lavoro, si fa riferimento a una serie di impegni sul comportamento da tenere in azienda che i datori di lavoro dovranno fornire ai propri dipendenti. Tra questi, “l’impegno a rispettare tutte le disposizioni delle autorità e del datore di lavoro nell’accesso in azienda, in particolare mantenere la distanza di sicurezza”. Distanza che oramai tutti sanno essere di, almeno, un metro.
Ma in certi settori, come quello metalmeccanico, questo limite è tecnicamente impossibile da rispettare. Ecco allora la deroga, qualche punto più sotto: se il lavoro non permette di rispettare la distanza interpersonale di un metro, e non sono possibili altre soluzioni organizzative, “è comunque necessario l’uso delle mascherine, e altri dispositivi di protezione”. Quali? La spiegazione arriva un paio di giorni più tardi nel decreto ‘Cura-Italia’: l’articolo 16 stabilisce che in queste circostanze “sono considerati dispositivi di protezione individuale le mascherine chirurgiche reperibili in commercio”. Per Palombella, questa indicazione non è applicabile tra i metalmeccanici: “Può andar bene per un ufficio, ma non in un’attività produttiva. Le distanze devono essere rispettate, e un lavoratore con una mascherina chirurgica non si sente protetto: questo articolo non è sufficiente e noi non lo applicheremo”.
“Noi non abbiamo competenze mediche per stabilire quali siano i dispositivi di protezione più adatti – dice Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl – ma a prescindere dalla tipologia, rimane il fatto che molte aziende, soprattutto piccole e medie, anche in Lombardia, chiedono di lavorare senza mascherina. Bisogna sanzionare chi non rispetta le indicazioni, perché in quel caso il lavoro va fermato”. Bentivogli ricorda anche un altro problema di sicurezza, legato agli spostamenti: “La distanza di un metro va considerata anche nel tragitto casa-lavoro: vediamo ancora persone assembrate alle fermate dei pullman aziendali, e dentro gli autobus e le metropolitane si sta a 30 centimetri, senza mascherina. Le misure di sicurezza devono essere rispettate anche nel pendolarismo: assicurarsi di questo riguarda la vita del lavoratore e deve riguardare anche le aziende. Per questo noi chiediamo di fermarsi qualche giorno, in modo da poter sanificare i locali, riorganizzare il lavoro e recuperare i dispositivi di protezione individuale necessari”.
Ma un altro tema è proprio quello della carenza di questi dispositivi, come evidenziato anche nel protocollo d’intesa tra i sindacati e il governo: vista l’attuale situazione di emergenza, si legge nel testo, l’adozione delle misure di igiene e dei dispositivi di protezione individuale “è evidentemente legata alla disponibilità in commercio”. “La situazione è chiara: di mascherine idonee non ce ne sono abbastanza”, continua Palombella. “Per questo abbiamo suggerito alle aziende di rallentare la produzione, dove non si può fermare, riducendo i tempi di lavoro e saltando alcuni turni. Se non è possibile dotare i lavoratori dei dispositivi di protezione adatti, non si può andare in fabbrica”. De Palma ricorda che “le mascherine e i guanti scarseggiano anche per i metalmeccanici che lavorano all’interno degli ospedali. Questo significa che c’è una priorità: in una situazione come questa, è chiaro che i dispositivi di sicurezza disponibili vanno utilizzati innanzitutto da chi lavora all’interno degli ospedali”.