Società

Il virus ci mette a un bivio: proseguire come automi o prenderci cura del fattore umano

Il bello (e il brutto) degli umani è che pensano e parlano, oltretutto ciascuno con la propria testa, persino in un’era di globalizzazione che tenderebbe all’omologazione totale. Quindi sul Coronavirus si è detto e si dice di tutto, dall’estremo della negazione di chi sostiene la tesi, ovviamente con deriva complottista, che “è tutta una bufala”, all’estremo opposto di chi crede alle più assurde vie di propagazione, stile miasmi manzoniani.

Finora quel che si è capito è che Covid-19 ha una contagiosità decisamente alta, ragione per cui ha senso osservare la misura “io resto a casa”, se si vuole che l’epidemia raggiunga un picco e decresca e permetta così una qualche interpretazione epidemiologica sensata.

In secondo luogo che, data anche la alta mutagenicità del virus, l’immunità di gregge rischia invece di non avere molto senso.

In terzo luogo che esiste un nesso fondato tra inquinamento e vulnerabilità al Covid-19 e persino la sua propagazione: il virus si lega al Pm e viaggia con esso, non si sa ancora per quanto a lungo, ma di certo la caduta dei tassi di inquinamento in Cina è coincisa con la discesa dei contagi e presumibilmente accadrà anche in Lombardia. Potrebbe esistere una relazione tra alta mutagenicità del virus e alta concentrazione di inquinanti, che sono di per sé mutageni.

Ovvia relazione anche, inutile dirlo, tra polmoni che vivono in contesto inquinato, stato di infiammazione cronica subclinica e maggiore suscettibilità alla temuta complicanza della polmonite interstiziale, ragione per cui è vero che questa colpisce in misura maggiore soggetti defedati, con patologie preesistenti o anagraficamente più deboli, ma potrebbe colpire anche “insospettabili”, a patto che lo stato infiammatorio cronico, magari sottosoglia, li renda di fatto vulnerabili.

Tanto per saperlo, non si tratta di una polmonite da sovrainfezione batterica nella tipica immunodepressione da virus influenzale, ma di una polmonite interstiziale sorretta dal meccanismo della Interleuchina 6, la stessa che media ad esempio i meccanismi autoimmuni della artrite reumatoide, ragione per cui l’Interferone, usato a quanto pare in Cina e l’anticorpo monoclonale per l’artrite reumatoide provato a Napoli, avrebbero un senso più degli antibiotici.

Noticina a latere: la polmonite interstiziale virale, quale che sia il virus in gioco, è un quadro più difficile da curare, che necessita di terapia intensiva, e da qui l’emergenza sanitaria: i tassi di mortalità dell’influenza degli anni passati possono essere sovrapponibili, ma spalmati da ottobre ad aprile e non concentrati in un unico mese.

No comment sui pregressi tagli sanitari, sui quali la querelle politica “Europa sì, Europa no” è già fin troppo accesa. Questi i dati, che qui sono riportati in estrema sintesi dalle fonti epidemiologiche e virologiche accreditate. Ed ecco il fattore umano: lo ha detto perfettamente Massimiliano Sassoli de’ Bianchi, docente della Clea all’Università di Bruxelles: “Il coronavirus è un hacker creato dalla natura per mostrare la vulnerabilità del nostro sistema, prima che collassi completamente”.

Il fattore umano è quello per cui ad Elena che ha perso il padre anziano ieri sera, che non ha avuto accesso alla terapia intensiva perché satura, non interessa un accidente delle statistiche di mortalità, perché lei non ha perso un numero, ha perso un individuo che parlava e pensava come tutti noi.

Si deve morire, prima o poi, è vero, ma come e quando per il fattore umano fa la differenza, e per il fattore anche un giorno, un’ora, un minuto fa la differenza. Per il fattore umano, è diverso bere il caffè con i colleghi o fare il “meraviglioso” social coffee in smart working. Per il fattore umano è diverso baciarsi alla francese o fare sesso virtuale.

Il trauma è quello che accade quando il fattore umano viene ucciso, quando qualcuno blatera numeri e statistiche invece di prendersi cura delle persone, quando il mio amico al telefono piange perché deve scegliere chi curare e fare medicina di guerra perché i posti letto e le risorse non sono abbastanza, quando i vecchi sono solo vecchi da buttare invece che i nostri Lari, antenati e protettori, quando un immunodepresso è semplicemente a rischio e non da tutelare più degli altri.

E, nota bene, oggi sappiamo che la selezione darwiniana non è il principale sistema evolutivo della natura: è il cooperativismo quello che la regge.

Siamo ad un bivio, grazie al Coronavirus: proseguire la via degli automi o deciderci una buona volta a prenderci cura per davvero del fattore umano.