Joe Biden è, di fatto, il nominato democratico alle elezioni presidenziali. Con tre risonanti vittorie in Florida, Arizona, Illinois, l’ex vicepresidente conquista un vantaggio incolmabile in termini di delegati su Bernie Sanders. Il dato è però soprattutto politico. Biden vince al Nord e al Sud, al Centro e nell’Ovest. Riesce a raccogliere i gruppi più diversi dell’elettorato democratico e, dicono i sondaggi effettuati alle urne, appare come il “più affidabile” nel gestire una crisi difficile come quella del coronavirus. Anche le elezioni di ieri, come ormai tutto negli Stati Uniti e fuori, si sono svolte all’ombra della nuova emergenza sanitaria e sociale. A martedì sera, sono 5700 i contagiati ufficiali; 105 i morti. L’amministrazione Trump annuncia misure economiche straordinarie, mentre si fanno sempre più forti i timori che il sistema, anzitutto quello sanitario, non riesca a reggere.
LE SCELTE DELLA POLITICA – Con il primo caso rilevato in West Virginia, ora tutti i 50 Stati americani sono stati toccati dal Covid-19. Le vittime, oltre cento, sono per lo più localizzate nello Stato di Washington, in quello di New York e in California. Il segretario al Tesoro Steven Mnuchin nelle scorse ore ha discusso con i repubblicani del Congresso la possibilità di un contributo diretto in denaro agli americani, nell’ambito di un gigantesco piano di stimolo all’economia del valore di 850 miliardi di dollari. Il pagamento avverrebbe a fine aprile e potrebbe essere ripetuto se la crisi persiste. Dalla misura sarebbero esclusi coloro che guadagnano oltre un milione di dollari.
Si tratta di una decisa inversione di rotta rispetto a quanto l’amministrazione aveva in un primo tempo previsto, e cioè sgravi fiscali sui salari. “Per sentire gli effetti benefici degli sgravi ci vorrebbero troppi mesi”, ha spiegato Mnuchin. Non si sa quanto costerebbe la misura – “è una cifra importante”, ha detto sempre il segretario al Tesoro. Secondo alcuni, potrebbe superare i 250 miliardi di dollari. Favorevoli i democratici. Un gruppo di senatori democratici, Michael Bennet, Cory Booker e Sherrod Brown, aveva già proposto un disegno di legge per inviare 4500 dollari a ogni americano adulto.
Gli Stati Uniti hanno intanto inasprito i controlli e le misure al confine meridionale. Chiunque cercherà di entrare dal Messico senza regolare visto verrà immediatamente rimandato indietro; senza che il suo caso venga quindi preso in carico dalle autorità dell’immigrazione. L’amministrazione spiega che la misura si rende necessaria per evitare che il virus si diffonda, attraverso le strutture detentive, alla popolazione dei richiedenti asilo e gli agenti di confine. Continueranno a poter entrare dal confine meridionale i cittadini americani, i detentori di green card e gli stranieri con regolare documentazione. Soggetti a ulteriori controlli i cittadini europei, su cui la settimana scorsa è stato posto un bando di trenta giorni. Potrà continuare regolarmente il traffico commerciale. Il Messico ha 82 casi confermati di coronavirus, contro i 5700 degli Stati Uniti.
Una nuova analisi dell’Università di Harvard ha intanto reso più evidente e drammatica l’impreparazione del sistema sanitario americano a reggere l’urto dell’emergenza. Secondo il rapporto, in buona parte del Paese mancano posti letto sufficienti per ricoverare tutti i malati di coronavirus. Questo avverrebbe anche se gli ospedali venissero svuotati di ogni altro malato, con diversa patologia. Lo studio ipotizza che circa il 40 per cento della popolazione americana si ammalerà nei prossimi 12 mesi, uno scenario che viene comunque definito “moderato”. In quel caso, migliaia di persone verrebbero lasciate a casa, senza adeguata assistenza sanitaria, con tassi di mortalità probabilmente alti.
LE PRIMARIE DEMOCRATICHE – È in questo contesto devastato – di rapporti sociali cancellati, di timori per l’economia, il lavoro, la salute, di futuro sempre più opaco – che in Florida, Illinois e Arizona si sono tenute le primarie. Il coronavirus sta ovviamente impattando anche il normale processo elettorale. Il governatore dell’Ohio, Mike DeWine, ha ieri bloccato il voto sulla base di “un’emergenza sanitaria pubblica”. Tutto rimandato, se si potrà, al 3 giugno. La decisione è stata presa contro il parere di un tribunale, secondo cui rimandare un’elezione potrebbe costituire “un terribile precedente” ed è stata contestata da molti democratici, per i quali aumenterà “il caos e la confusione”. Hanno rimandato i loro voti anche Georgia, Louisiana, Kentucky e Maryland. Le nuove date sono per lo più a giugno, ma chissà se per allora l’emergenza sarà davvero rientrata.
Dove si è votato ieri – e cioè in Florida, Illinois e Arizona – ha vinto Joe Biden. Parlando in collegamento dalla sua casa di Wilmington, Delaware, Biden ha mantenuto un tono asciutto, consapevole della gravità del momento. Quasi trascurando le sue tre vittorie – “abbiamo avuto una buona serata”, si è limitato a dire – il vice di Obama ha fatto riferimento all’emergenza: “Ce la faremo, passerà”. L’unico vero accenno politico del discorso è venuto quando ha lodato “la straordinaria passione e tenacia” di Bernie Sanders – con cui, ha detto, anche se siamo in disaccordo sulle tattiche, “condividiamo la visione”. Significativo anche l’appello ai più giovani: “Vi ascolto, so che cosa è in gioco e so che cosa dobbiamo fare – ha spiegato Biden -. Il nostro obiettivo come campagna, e come candidato, è unificare il partito e unificare la Nazione”. Le parole sono risuonate come un appello agli elettori più fedeli a Sanders, che Biden deve ancora convincere e conquistare.
La vittoria di Biden è stata ancora una volta interessante per ampiezza e numeri. Oltre il 60 per cento del voto in Florida; il 59 per cento in Illinois. In Florida Biden ha ritrovato la coalizione che l’ha portato alla vittoria in altri Stati: afro-americani, donne, moderati (questa volta gli ispanici della Florida, molto poco in linea con le antiche simpatie castriste di Sanders), voto più anziano. Tra l’altro in Florida l’affluenza al voto è stata superiore al 2016, nonostante le paure per la diffusione del virus. Con vittorie ampie nei sobborghi urbani e ricchi di Naples e Jacksonville, Biden dimostra anche di essere probabilmente capace di strappare una parte di quello “swing vote”, il voto oscillante tra democratici e repubblicani, che sarà decisivo a novembre. In Illinois, Biden continua la serie di vittorie negli Stati del Midwest (prima c’erano stati Minnesota e Michigan). Tra l’altro, l’Illinois ha un profilo politico più giovane e progressista della Florida. Bene, il vice di Obama riesce ad affermarsi anche qui.
Abbastanza chiaro quello che Biden farà ora: e cioè, cercare di accreditarsi come il candidato ormai prescelto, predestinato, per la sfida di novembre – a prescindere quindi dal proseguo delle primarie. Il tono sobrio del suo discorso post-risultati, volto a unire il partito, è un segno di questa volontà. A Biden serve presentarsi come presidential, per rendere la sua candidatura irreversibile e inconfutabile. Deve apparire come se parlasse dal Rose Garden della Casa Bianca, e non dal podio di un comizio di partito. A questo serve per esempio la formazione di una task force sul Covid-19 che lo affianca in questo periodo; o la telefonata che Biden ha fatto ad Elizabeth Warren, di cui ha accolto alcune proposte come il college gratuito o una nuova legge sulla bancarotta.
Più difficile prevedere le intenzioni di Sanders. Il senatore non ha parlato dopo l’arrivo dei risultati. Lo aveva fatto prima, in un intervento online in cui chiedeva un forte investimento pubblico per contenere gli effetti distruttivi del virus sull’economia. “Dobbiamo fare in modo che questa crisi sanitaria ed economica non si trasformi in un’altra opportunità per far soldi da parte di corporation e Wall Street”, aveva detto. A urne chiuse, i suoi collaboratori hanno spiegato che Sanders non intende ritirarsi, ma che anzi va avanti in nome del movimento che ha creato. Possibile che ci ripensi. La serie di sconfitte rimediate sinora sono state durissime. Andare avanti potrebbe diventare umiliante, fino a minare la sua stessa forza politica. In altre parole, un Sanders fiaccato da una campagna in caduta libera finirebbe per avere molta meno forza contrattuale nella scrittura della piattaforma politica dei democratici a luglio. C’è poi il dato della agibilità politica. La campagna elettorale è di fatto chiusa, finita. Cancellati eventi elettorali, comizi, campagna porta a porta. Tutto. Improbabile che a un 78enne (e al 77enne Biden) venga dato l’assenso a girare per un Paese sempre più vuoto e barricato. La campagna di Bernie Sanders finisce oggi. L’annuncio della sua fine resta un dato puramente formale.