“È stato disposto l’affidamento in favore della Medihospes Cooperativa Sociale Onlus per l’accoglienza temporanea in regime h24 di max 20 persone presso la struttura sita in via della Primavera, 41 – Roma […] per un costo pro die pro capite pari a euro 28,00 Iva esclusa”. Recita così la determina dell’Ufficio Speciale rom del Comune di Roma che dispone il ricollocamento di alcune famiglie rom dopo gli incidenti avvenuti a Torre Maura.
Era l’aprile 2019 e alcuni osservatori scrivevano: “Casapound batte il Campidoglio 1-0″ riferendosi alla decisione della giunta Raggi di cedere alla protesta organizzata davanti al centro di via dei Codirossoni. In una scarna nota il Comune dichiarava: “In merito al trasferimento di circa 60 persone rom dalla struttura di via Toraldo a quella di via dei Codirossoni, l’Ufficio speciale Rom sinti e caminanti ha deciso di ricollocare le persone presenti nella struttura presso altri centri d’accoglienza per persone fragili su tutto il territorio romano. Le operazioni saranno curate dalla Sala operativa sociale a partire da stamattina e si concluderanno in sette giorni”.
In una sorta di diaspora i 60 rom, tutti segnati da forti fragilità, sono stati ricollocati in altre strutture tra le quali quella di via della Primavera, gestita da Medihospes. “Un asso pigliatutto – scriveva sull’ente qualche mese fa Anna Dazzan – Un colosso nazionale già al centro di diverse indagini per i legami con Mafia Capitale. […] La stessa coop è finita al centro dello scandalo per la gestione del centro di Borgo Mezzanone in provincia di Foggia dopo l’inchiesta dell’Espresso condotta dal giornalista Fabrizio Gatti”.
Solo grazie alla presenza di due parlamentari sono riuscito ad entrare nei giorni scorsi nella struttura per incontrare le quattro famiglie rom che hanno visto notificarsi a fine febbraio una nota dell’Ufficio Speciale rom, con l’invito a “lasciare libere le stanze da cose e persone improrogabilmente entro il 7 marzo 2020”. Tradotto: il 7 marzo finirete per strada. Nella visita mi ha accompagnato Costica che, seguito come un’ombra da un operatore preoccupato, mi ha condotto nella stanza dove vive dallo scorso aprile. Una stanza di 12 metri quadri con un bagno inutilizzabile e muffa dappertutto. A fianco un’altra stanza simile che lui utilizza per mettere vestiti e valigie visto che le camere non dispongono di arredo, se non un lettone e un letto singolo dove passano le giornate lui, sua moglie – con un’invalidità certificata al 100% – sua suocera, anche lei con gravi problemi di salute, e i suoi tre figli tutti scolarizzati.
“Uno di loro – ci tiene però a riferirmi la responsabile della struttura – ha creato problemi con la scuola, mettendosi contro i docenti e la preside”. Il bambino ha 7 anni e mi chiedo come sia riuscito a mettere in crisi un istituto comprensivo. “Una donna accolta – continua – era seguita da una psicologa ma poi, trattandosi di una rom, ci siamo impegnati a reperire una psicologa con competenze antropologiche”. Vabbè.
C’è un divario abissale tra questi “ospiti” e tutto il mondo attorno, quasi fossero alieni contenuti in una bolla. Due realtà incomunicabili il cui unico legame è reso forte dai 5mila euro mensili che il Comune di Roma versa alla Medihospes per l’accoglienza del nucleo di Costica. Che il 7 marzo è fuori: la “gallina” ha smesso di produrre “uova d’oro” e quindi non serve, può finire in strada.
Alla fine che può difendere Costica? Su quali argomenti? “È irritante – prosegue la responsabile – Non è collaborativo. È stato lui a non volere che entrassimo nella sua stanza per sistemare le pareti. Non si fida. Non ha voluto neanche firmare il foglio di esenzione della mensa scolastica”.
È il solito gioco del mettere le mani avanti. Una strategia antica che con i rom funziona sempre. Che serve anche a spostare l’attenzione su quei soldi che noi contribuenti paghiamo per processi di inclusione, che il Comune di Roma affida ad una cooperativa e che consente di evitare la valutazione dell’efficacia di un intervento sociale, valso per la sola famiglia di Costica in 8 anni più di 150mila euro, destinati alle cooperative che gestivano i centri dove lui ha transitato prima di finire in strada.
Ora, dopo una lunga battaglia, la storia è finita con il trasferimento delle famiglie presso un centro della Croce Rossa.