La guerra persa, i bombardamenti, i tedeschi, i generali che scappano, tenentini e soldati che resistono, puntando disperatamente i moschetti 91 contro i carri armati nazisti. La colpa non è di nessuno, la colpa è di tutti, le scarpe erano di cartone ma il duce, poveretto, non lo sapeva. Italiani, l’Impero! La quinta economia del mondo! Razza romana! Via gli ebrei! I negri, al loro posto! “In questo negozio si vende solo merce ariana”.
Ecco, noi siamo qua. Come ci siamo arrivati – o come ci siamo tornati – non è ora il momento di approfondirlo. Comunque, siamo al solito punto. L’italiano che scappa, l’italiano che combatte. Quello che assalta i treni, quello che con o senza mascherina cura i malati. I gerarchi nascosti e zitti, non è il momento. I nuovi governanti, messi là per miracolo, che fanno la faccia sicura. Ma il paese è in mano ai pochi e ai poveri, al ciabattino antifascista, allo stracciato che va in montagna, a quell’idea confusa ma nettissima – “intanto io debbo fare qualcosa” – che domani si tradurrà in parole e polis, ma ora è solo una speranza esile, un coraggio sforzato, una dignità.
Nella città di Catania hanno chiuso quattro ospedali in pochi anni, e una decina in provincia. Cemento se n’è alzato tantissimo (valanghe di centri commerciali), ma chiudendo le scuole. I quartieri popolari, in mano alla mafia. I centri imprenditoriali, in mano alla mafia. I palazzi, i poteri, qualunque piccolo e grande luogo in cui si decide qualcosa, in mano alla mafia. La mafia dei Santapaola e Mazzei, la mafia che ammazza fisicamente i ragazzini, ma soprattutto la mafia dei Cavalieri, la mafia – secondo i giudici – del loro successore Mario Ciancio.
La mafia dei milioni buttati all’estero, la mafia dei giornali che stendono lenzuolate di silenzio su tutto questo. E che ora festeggiano, ingiuriano chi – giudici e giornalisti onesti – li ha denunciati, si gloriano del passato e promettono di far di peggio per l’avvenire. Miserie di cui non parleremmo, nel dramma che attraversiamo, se non fossero minacciose.
E’ bello, nella nostra Catania, vedere i cittadini che fanno disciplinatamente la fila. Ci son quelli che scappano, ma ci sono, e di più, quelli che tengono disciplinatamente il loro posto. Il vigile con la mascherina, la signora che difende la zingarella sull’autobus, il professore e il ragazzo che fanno le loro ore di scuola via internet, il tizio che bofonchiando accetta di chiudersi in casa come tutti – tutte queste cose sorgono da anni e anni d’intrallazzo e d’abbandono, eppure da qualche parte c’erano, e ora, da un antico profondo, vengono a galla.
Lo sappiamo benissimo che è una faccenda esile, che dopo i soldati per le strade qualcuno vorrebbe qualcosa di ben differente, non più aiuto civile ma prepotenza. Ma sono in pochi a volerlo, e il popolo, che è lento a capire, al bisogno impara, e ognuno di questi giorni durissimi per imparare vale un anno.
Umanità, disciplina, impegno individuale di ciascuno; prima le cose urgenti, alle altre ci si pensa poi. Ma quando questa gran guerra sarà finita, comincerà il dopoguerra. E allora avremo tutti parecchie cose da discutere. Degli ospedali chiusi e di tutto il resto.