Società

Vale più una borsetta o un anno di università? Magari il virus raddrizzerà certe storture

Nella sua opera più famosa – La società opulenta – il grande economista statunitense, John Kenneth Galbraith, ripete ossessivamente che la nostra società ed economia, fondate come sono sulla pubblicità, generano importanti distorsioni alle quali siamo talmente abituati da non notarle più.

Una di queste, ripetuta più volte da Galbraith, è quella che porta i cittadini-consumatori a considerare i beni privati – una borsetta di marca o un jeans strappato da qualche mano creativa – molto più importanti di quelli pubblici – scuole, università, ospedali e così via – a causa della pubblicità tambureggiante che viene quotidianamente fatta a favore dei beni privati, ma non di quelli pubblici, in tutti i mezzi di comunicazione.

Al contrario dei beni privati, di cui è perfino vietato parlar male o mettere in evidenza i difetti, i beni pubblici sono quotidianamente sotto la lente d’ingrandimento dei media per mettere in evidenza quei casi di distorsione o malfunzionamento che, in un certo senso, sono in fondo fisiologici, anche se pur sempre inaccettabili e da evitare in ogni modo. È tipico di qualsiasi struttura complessa, come è sempre quella che organizza la produzione dei beni pubblici, che possano succedere episodi di malfunzionamento, errori o fenomeni di disorganizzazione.

Il problema, però, è che la stampa e gli altri mezzi di comunicazione parlano dei beni pubblici quasi solo per evidenziarne i limiti, gli errori e le distorsioni. Neppure un cenno viene fatto, invece, a tutto quello che funziona e funziona alla grande nella produzione dei beni pubblici. Si parla solo degli aspetti negativi dei beni pubblici, mai di quelli positivi, che sono di gran lunga maggiori. Sono molto più numerose le operazioni chirurgiche riuscite che quelle fallite. Vi sono, ogni anno, migliaia di trapianti che salvano la vita di tante persone, ma si parla solo di quell’unico trapianto che, in quell’anno, è andato male.

Non si parla dei tanti giovani che grazie allo studio migliorano le proprie condizioni di lavoro e di vita, ma magari dell’abbandono scolastico oppure di quel giovane che ha spacciato droga davanti alla tale scuola. Nessun cenno ai processi che si risolvono e agli assassini che si condannano, ma pagine e pagine a quel caso irrisolto di femminicidio. Del resto, questo non è neppure colpa dell’informazione, poiché si sa che non fa notizia ciò che è scontato, ma l’eccezione. Non fa notizia se un cane morde un uomo, mentre fa notizia se un uomo morde un cane.

I social non hanno fatto altro che magnificare questa distorsione, questa sorta di strabismo collettivo a favore dei beni privati. Sempre di più, ma è un fenomeno che risale agli anni Cinquanta, come l’opera di Galbraith che è stata pubblicata, non a caso, nel 1958, i nostri bambini, adolescenti e giovani considerano una borsetta Gucci, Louis Vuitton o di altri marchi famosi più importante di un anno di università, magari perché molto spesso costa anche di più, proprio a causa della pubblicità.

Lo strabismo dei cittadini ha fatto sì che sia prevalsa, nel lungo periodo, la vulgata neoliberista – in realtà priva di fondamento scientifico – che lo strumento migliore per affrontare la crisi dei debiti sovrani e consentire una maggiore austerità fiscale consista proprio nell’affidare la produzione di quei beni al privato. Seguendo la vulgata neoliberista, il privato è sempre più efficiente e meno costoso del pubblico. Per ridurre il costo dei beni pubblici cosa ci sarebbe di meglio, allora, che affidarli ai privati?

In realtà, come ha mostrato un bell’editoriale di Milena Gabanelli nel suo data stream, il privato convenzionato è pagato quasi il doppio per uno stesso servizio (tac, risonanza magnetica e quant’altro) rispetto a quanto costa se a produrre lo stesso bene è il pubblico. La Gabanelli ha calcolato che, in realtà, si potrebbero risparmiare 2 miliardi di euro l’anno, se si tornasse a far produrre quei beni e servizi all’operatore pubblico.

In queste settimane, si parla tanto di ospedali, scuole e tribunali, proprio a causa del coronavirus. Si rimpiange il fatto che si sia ridotta la spesa a favore del pubblico, dirottandola verso il privato. È il caso di dire: meno male! Almeno c’è un lato positivo di questo incubo che sembra non finire mai.

Ci si sta rendendo conto tutti, finalmente, di quale ricchezza rappresenti per le nostre economie miste la produzione di beni pubblici da parte di un settore pubblico. I beni pubblici non solo costano di meno se prodotti dal pubblico, ma gli operatori pubblici rappresentano un asset strategico per le nostre democrazie.

Ad esempio, aiutano a produrre beni così importanti come la sicurezza sanitaria, bene supremo della nazione, per far fronte a casi così complessi come una pandemia. Lo stesso è accaduto con il terrorismo, e accade continuamente con i terremoti. È in questi casi che si riscopre l’importanza del pubblico.

Speriamo che questo aiuti le persone a dare la giusta importanza a scuole, università e tribunali, tra gli altri operatori pubblici. I beni pubblici tornino a valere più di quelli privati. Un anno di scuola vale più di una borsetta Prada, non me ne vogliano gli influencer!