È una pandemia. È anche un pandemonio. Il coronavirus non è più una notizia ma un bollettino idrovoro che fagocita tutte le altre notizie. Esiste un mondo prima e dopo Cristo, esisterà un mondo prima e dopo Covid-19? La Storia è al suo giro di boa-virus.
In alto i cuori! Torneremo più forti di prima e più assetati di vita, più affamati d’amore. Il tampone sarà il passaporto per tutto: viaggiare, sesso, avventure, lavoro. Senza tampone tutto sarà fermo. Fammi un tampone e ti dirò chi sono, mentre le stelle, immobili e lucenti, tamponeranno l’eternità, fino a quando Dio non deciderà di farsi vivo, dopo la sua morte apparente.
Non sono catastrofico, sono semplicemente etimologico, catastrofe significa mutamento. E tutto cambierà, statene certi. Tutto cambierà, affinché tutto resti come prima. Ogni individuo è l’inizio e la fine del mondo. Non dobbiamo perdere la memoria se vogliamo restare umani.
Mi ha scritto la mia amica Mila Moretti, attrice e drammaturga, figlia di Mario Moretti (da non confondersi con il brigatista!), drammaturgo e fondatore del teatro dell’Orologio. Mi ha scritto per ricordarmi che Ilaria Alpi è stata assassinata a Mogadiscio il 20 marzo del 1994, insieme al suo fedele operatore Miran Hrovatin. Mi ha chiesto di ricordarla sul mio blog, e di annunciare che Mila ha scritto un monologo teatrale dedicato a Ilaria Alpi dal titolo Faceva Caldo.
Queste sono le parole di Mila: “Ho scritto un monologo un anno fa. Avevo finito di guardare Linea Notte, su Rai3, ripercorrendo tutta la storia di Ilaria Alpi insieme a chi l’aveva conosciuta: i suoi colleghi. Poi, facendo ricerca su internet mi ero addentrata ancora di più nelle pieghe calde della Somalia di Ilaria, ho visto un film su di lei, tutto quella notte, la notte del 20 marzo. Ho sentito anche la commozione di Fusi, il giornalista che nel 1994 dette l’annuncio dell’assassinio
di Ilaria e Miran Hrovatin, il suo compagno di viaggio, il suo cineoperatore. Ero contenta della mia Italia che chiedeva di sapere la verità sul mandante potente, sul politico corrotto che ne aveva ordinato l’eliminazione fisica. Nel letto non avevo pace, avevo un gran caldo. Poi il sonno, e il sogno su Ilaria. Un grido appassionato il suo, con brusii che non ne impedivano la comprensione: “Sei impotente come me”! I grandi masters of war ci travolgono, l’ho scritto, io urlo ora! Una volta sveglia ho acceso la tv, convinta di trovare ancora tracce di Ilaria, invece niente, tutto è stato consumato in una serata commemorativa. E anche i genitori di Ilaria sono morti. Chi avrebbe raccolto quel grido?”.
Mila si è messa così al computer per raccogliere quel grido, per restituirne il senso, e ha scritto un monologo teatrale, secondo la sua misura interiore; il caldo della Somalia, della Somalia di Ilaria, è penetrato nella sua stanza e nelle sue parole, e in questi giorni stava per approdare sul palcoscenico. L’arte forse ha proprio questo compito, di raccogliere il testimone, di dare un’eco a ciò che si vorrebbe ridurre al silenzio, di perpetuare con i propri mezzi quel coraggio puro che ha attraversato il sangue di Ilaria e Miran.
Purtroppo questo lavoro di Mila dovrà attendere, come il paradiso ci insegna, c’è in un corso una cosetta da nulla: una pandemia. Ma non si vive di sola pandemia, e torneranno ad alzarsi i sipari dei teatri, ad accendersi i riflettori, a illuminarsi gli schermi del cinema, e Ilaria tornerà ad avere caldo, come quel giorno del 20 marzo del 1994.
Buon tampone a tutti. Vi lascio con uno dei miei film-ritratto più belli, proprio il ritratto a questa attrice-autrice che si chiama Mila Moretti, anche lei con coraggio, il coraggio e il candore degli spiriti puri e ribelli, si è messa a nudo davanti alla mia videocamera, perché fa sempre caldo quando c’è vita.