A denunciare l'atteggiamento delle guardie di frontiera transalpine è il sindaco della cittadina di frontiera, Gaetano Scullino, che mobilita la Prefettura: "Noi usiamo tutti gli accorgimenti e rispettiamo i divieti a causa della situazione sanitaria e queste persone vengono invece abbandonate in giro"
Li hanno visti arrivare a piedi dal confine francese, senza protezioni e senza un posto dove andare. Anche in piena emergenza coronavirus continuano i respingimenti di migranti alla frontiera di Ventimiglia da parte delle autorità di Parigi. All’ultimo, nelle scorse ore, ha assistito Jacopo Colomba, consulente legale della Caritas e della Onlus We World: “Erano in sette, curdi iracheni – racconta a Ilfattoquotidiano.it – Tre di loro avevano una mascherina, segno che erano già stati presi in carico da qualcuno nelle scorse settimane, gli altri invece erano completamente sprovvisti di protezione. Mi hanno detto che avevano percorso la rotta balcanica. Li ho indirizzati al vicino campo della Croce Rossa, l’unica cosa che potevo fare”.
La notizia ha però provocato la reazione del sindaco di Ventimiglia, Gaetano Scullino, che ha mobilitato la Prefettura: “Malgrado la pandemia, le autorità francesi continuano ad accompagnare al confine italiano i migranti trovati sul loro territorio nazionale, i quali entrano poi a piedi e si disperdono in città, senza essere controllati e soprattutto senza sapere se pure loro, come noi, sono portatori del virus – ha dichiarato – Chiederò al Prefetto di intervenire per evitare che i migranti siano spinti in Italia e poi lasciati a spasso”.
La situazione di Ventimiglia, oggi, è meno esplosiva rispetto al 2015-2016, quando migliaia di persone arrivavano nella cittadina di frontiera e affollavano il campo della Croce Rossa nella speranza di varcare il confine e raggiungere i parenti in Francia o nel Nord Europa. Attualmente, sono circa 250 gli ospiti del centro, un numero che però non può crescere ulteriormente a causa delle precauzioni necessarie da prendere per evitare contagi di massa.
“Da due settimane circa – continua Colomba – le autorità italiane alla frontiera hanno smesso di identificare e prendere le impronte digitali delle persone che varcano il confine. Questo come precauzione. Ma in una situazione del genere, un rimpatrio forzato come quello a cui ho assistito lascia i migranti ancora di più abbandonati a loro stessi”. Anche perché i servizi di trasporto utilizzati in precedenza per raggiungere il centro di accoglienza o la cittadina compiono ormai pochissimi viaggi e le ong hanno interrotto le loro attività al confine con cui davano una prima assistenza a queste persone: “La conseguenza – dice il consulente – è che questi sette migranti che ho incontrato, come tutti gli altri che condividono la loro disavventura, devono compiere una decina di chilometri a piedi e poi, non potendo scomparire, si organizzano con soluzioni di fortuna. Il tutto nel bel mezzo di una grave crisi sanitaria“.
Le operazioni di espulsione, inoltre, espongono i migranti anche a maggiori rischi di contagio, visto che avvengono senza le dovute precauzioni: “Generalmente – spiega Colomba – queste persone tentano di passare la frontiera a bordo dei treni o a piedi. Se intercettati, vengono portati in dei container al posto di polizia francese dove, di solito, passano la notte, tutti nello stesso locale. Se uno di loro fosse positivo al Covid-19, capite bene che gli altri verrebbero facilmente contagiati. Poi ricevono il foglio di via e vengono rispediti oltre il ponte San Ludovico. Esattamente ciò che è successo ai sette uomini che ho incontrato”.