Mafie

Giornata della memoria delle vittime di mafia: queste sono le donne che hanno saputo dire no

La giornata della memoria e dell’impegno promossa da Libera e Avviso Pubblico che si celebra in tutta Italia il 21 marzo, primo giorno di primavera, quest’anno subirà molti cambiamenti dal punto di vista organizzativo, a causa dell’emergenza Covid-19. Ma grazie alla rete e alla campagna social promossa dall’associazione tutti potremo partecipare e dare un abbraccio virtuale ai familiari delle vittime di mafia.

Ancora una volta, e per diverse ragioni, le protagoniste di questa giornata saranno le donne. Il 21 marzo nasce proprio dal dolore di una mamma. La mamma di Antonino Montanaro, il capo scorta di Giovanni Falcone. È stata lei che durante il primo anniversario della strage di Capaci ha chiesto perché il nome di suo figlio non veniva mai menzionato. Si parlava dei “ragazzi della scorta”. E così, dal dolore di questa madre di un figlio vittima di mafia, a cui veniva negato anche il ricordo, ogni anno si leggono i nomi di tutte le vittime, per non dimenticare nessuno di loro. Perché la memoria si trasformi in impegno collettivo.

Il ruolo delle donne dentro e fuori le organizzazioni criminali, come vedremo, si è rivelato fondamentale per dare un duro colpo alle mafie. A febbraio è stato ristampato dalla casa editrice Miraggi il libro Donne di mafia della giornalista Liliana Madeo. Il testo è alla sua terza ristampa. La prima volta fu pubblicato da Mondadori nel 1994 ed è tutt’oggi attualissimo per comprendere il ruolo delle donne “vittime, complici, protagoniste” del mondo mafioso.

Liliana Madeo, in tempi in cui ancora si parlava poco o niente della figura femminile nelle organizzazioni criminali, è riuscita a tracciare il profilo delle mogli, delle compagne, delle fidanzate dei più potenti boss di Cosa Nostra. Alcune omertose, altre ribelli, protagoniste indiscusse del tumulto all’interno della mafia siciliana, all’epoca dei primi grandi pentiti. Liliana Madeo racconta di queste donne in chiave inedita, con le carte delle inchieste, ricostruendo la vita insieme ai boss, senza un filo di retorica, senza aggettivi, facendoci entrare all’interno di quelle famiglie e sentire la paura, la negazione, l’attesa, l’ansia per il futuro dei figli.

Giacomina Filippello, che per 24 anni è stata la compagna di Natale D’Ala, uomo di rispetto di Campobello di Mazara, ha conosciuto Riina, Badalamenti, sapeva chi era il suo uomo ma lui riusciva a darle tutto e a farla vivere in un mondo incantato. È stata la prima pentita di mafia dopo averlo visto morto ammazzato con 25 colpi di kalashnikov. “Lo sorpresero indifeso come un uccello. Non si accorse nemmeno che stava per morire. Era in piedi, cadde come un frutto maturo” raccontò.

E successivamente molte sono state le donne che hanno scelto di dire no. Lo hanno fatto soprattutto per il bene dei propri figli, perché non fossero costretti a un futuro di morte, paura, rabbia, scelto per loro dai padri. E così dopo il periodo siciliano, più recentemente, anche la Calabria ha avuto delle donne come protagoniste dell’antimafia.

Come Maria Concetta Cacciola, una giovane donna di Rosarno con un marito in galera che voleva essere libera di vivere la sua vita e che temeva per i suoi figli. Maria Concetta era cresciuta in una famiglia legata agli ambienti della criminalità organizzata ed era sposata con un uomo che stava in prigione. Mentre lei viveva tutti i giorni la sua prigionia all’interno delle proprie mura domestiche. Quando si è ribellata la famiglia non l’ha accettato ed è morta ingerendo acido muriatico nella sua abitazione, dopo un lungo calvario di solitudine. Alcune, come narrato bene da Liliana Madeo, hanno scelto il silenzio, l’omertà. Basti pensare alla moglie di Totò Riina, Ninetta Bagarella.

Oggi tuttavia qualcosa cambia. E un primo segnale c’è stato grazie a Libera e il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria con il protocollo “Liberi di scegliere”. Sono circa 70 i minori allontanati dalle famiglie ‘ndranghetiste. Una trentina le donne che hanno deciso di allontanarsi dall’ambiente mafioso e salvare se stesse e i propri figli.

Abbiamo sempre meno esempi di donne che non parlano, vestali di una cultura arcaica e feroce, come quelle descritte da Sciascia nella Sicilia come metafora e più donne che hanno cambiato la storia delle organizzazioni criminali.