Politica

Coronavirus. Mentre in Lombardia si muore, a Roma la polemica è per il messaggio di Conte alla nazione trasmesso su Facebook

La decisione del presidente del Consiglio di annunciare la serrata generale con una diretta Facebook (comunque ripresa da tutte le reti televisive) ha scatenato le critiche delle opposizioni e di Matteo Renzi. Senza che nessuno sia entrato nel merito di un provvedimento senza precedenti. Dai rappresentanti dei giornalisti invece una proposta per "aiutare ad aiutare": "D'ora in poi conferenze stampa da remoto"

Mentre in Lombardia e in Italia si affrontano le ore più drammatiche dell’emergenza coronavirus, con un picco di 800 morti in sole 24 ore, a Roma la polemica che da ore agita la politica è l’impossibilità di fare domande al termine del messaggio alla nazione di Giuseppe Conte. Sotto accusa è finito infatti l’intervento del presidente del Consiglio di ieri sera, con il quale è stata annunciata la serrata totale delle attività produttive non essenziali: una decisione senza precedenti, arrivata dopo le pressioni e gli appelli da parte di sindacati e istituzioni locali che da ora si dicono “allo stremo” per un contagio che non accenna a diminuire. Nelle ore immediatamente successive al discorso del premier, mentre ancora si attende il testo del decreto, le discussioni non sono mai entrate nel merito, ma si sono concentrate sulla decisione di trasmettere il messaggio in diretta Facebook e sull’orario scelto. Il video è stato comunque ripreso e rilanciato in diretta da tutte le reti televisive, come del resto ha voluto specificare la stessa presidenza del consiglio con una nota. “Le dichiarazioni del Presidente del Consiglio di sabato sera sono state diffuse secondo la consueta modalità utilizzata dalla Presidenza del Consiglio”, si legge. “In caso di importanti dichiarazioni pubbliche […] infatti, i principali canali televisivi pubblici e privati – avvisati per tempo – accedono attraverso collegamento diretto al segnale audio-video fornito dalla sala regia della Presidenza del Consiglio. Contemporaneamente le dichiarazioni vengono trasmesse in streaming sul canale You Tube della Presidenza del Consiglio e sulla pagina Facebook di Giuseppe Conte”.

In prima fila a polemizzare contro il suo stesso governo Matteo Renzi, ma anche le opposizioni nonostante lo stesso Sergio Mattarella abbia invocato nei giorni scorsi “collaborazione” per l’unità nazionale. Più concrete le richieste dei giornalisti che, in modo unanime (Fnsi, Ordine e associazione stampa parlamentare) hanno proposto di istituire conferenze stampa da remoto per permettere ai cronisti di continuare a lavorare.

Il ministro Pd Dario Franceschini è intervenuto nel pomeriggio per cercare di smorzare la situazione (“Conte va ringraziato, siamo tutti una squadra”, ha detto un un video), ma ormai il dibattito era partito. Renzi, non è una sorpresa, è stato il primo a dire la sua: “Evitiamo”, ha dichiarato durante una diretta Facebook domenicale convocata ad hoc, “di seminare il panico e di avere una comunicazione istituzionale che assomiglia più a un reality che a una grande pandemia”. L’ex presidente del Consiglio è lo stesso che solo pochi giorni fa ha rilasciato interviste a vari media stranieri per mettere in guardia sugli “errori dell’Italia” e ha battuto nel fare opposizione (al suo stesso governo) perfino Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Ma soprattutto, Renzi è lo stesso che durante il suo mandato da premier si dedicava a lunghe dirette Facebook, dal suo ufficio a Palazzo Chigi, per parlare dei vari provvedimenti del governo. Erano i cosiddetti “#MatteoRisponde” e, proprio in quelle occasioni, i giornalisti erano completamente bypassati, optando per domande selezionate dal premier in rete sulla base delle sue esigenze comunicative. Evidentemente Renzi ha cambiato idea, e con lui i suoi, sempre membri della stessa maggioranza che in teoria sta sostenendo Conte. “Le dirette Facebook a reti unificate, senza domande, hanno stancato”, ha scritto tra i tanti il presidente di Italia viva Ettore Rosato su Twitter.

E dire che solo giovedì scorso si è scomodato perfino il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che, in piena crisi da pandemia, ha dovuto chiamare personalmente i leader delle opposizioni e sentire il governo per chiedere “collaborazione” e “capacità di ascolto” in un momento così delicato per il Paese. Forse dovrebbe stupire persino che ci sia stato bisogno di queste telefonate per esprimere un concetto che, almeno nelle zone dove ogni giorno si contano decide di morti, è molto chiaro. Proprio il capo dello Stato, garante massimo della Carta costituzionale, sa che tutelare l’unità nazionale in un momento di grave emergenza, non significa venir meno alle prerogative democratiche. Ovvero: c’è momento e momento per rivendicare spazio e questa è una situazione di difficoltà estrema per cui è necessario che le forze siano utilizzate per remare nella stessa direzione e non dare un’immagine del Paese, ancora e come sempre, diviso al suo interno.

Nonostante il richiamo dello stesso capo dello Stato, a lamentarsi oltre a Renzi sono stati anche gli altri componenti delle opposizioni. Matteo Salvini oggi ha scritto un post su Facebook: “Così non si può andare avanti”, si legge, “fra annunci di notte e confusione di giorno, fra sottovalutazione e improvvisazione. Noi vogliamo con tutto il cuore aiutare”, ma “ad oggi purtroppo non ci è permesso farlo”. E addirittura ha chiuso: “Non viviamo in un regime, siamo e vogliamo restare in democrazia”. I commissari di Fratelli d’Italia in commissione di Vigilanza Rai Federico Mollicone e Daniela Santanchè, si sono spinti fino a paragonare l’atteggiamento di Palazzo Chigi “a quello della Corea di Kim Jong Un”. E pure nelle fila di Forza Italia si è deciso di protestare compatti con gli altri alleati di coalizione: “Questo metodo sciagurato ha già provocato allarme, panico, e causato conseguenze molto serie”, ha detto la deputata Fi Mara Carafagna. “Ora il governo ha il dovere di rivolgersi alla popolazione quando le decisioni sono già chiare e dettagliate, ha il dovere di parlare con un’unica voce, ogni giorno, dai canali nazionali”.

Ma non ci sono solo le polemiche, molto spesso vuote, dei politici. Anche i giornalisti, con toni moderati e costruttivi, hanno avanzato alcune proposte per cercare di risolvere quello che può diventare un problema. Dall’Ordine dei giornalisti, dall’associazione della stampa parlamentare e dal sindacato Fnsi è arrivata unanime la richiesta al premier perché d’ora in poi, alla luce di una situazione di pandemia, le conferenze stampa sino organizzate da remoto per “garantire la sicurezza sanitaria” e al tempo stesso la “partecipazione dei giornalisti”. “Tutta la democrazia possibile in questi giorni va valorizzata”, ha detto il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine Carlo Verna. “Il pluralismo informativo non solo ne è un’espressione decisiva, ma, per di più, giova a capire”. Verna è anche andato oltre, mettendo in evidenza quali sarebbero stati i punti da chiarire al termine del messaggio: “Era chiara a tutti la stretta, le attività che rimanevano aperte ma non quelle che erano obbligate a chiudere, con quali modalità e interazioni con le autorità competenti. Ma anche comprendere meglio l’uniformità fra le varie Regioni che avevano anticipato provvedimenti avrebbe aiutato. Siamo rispettosi dell’impegno strenuo di chi governa in questi giorni, chiediamo solo di aiutarci ad aiutare con le nostre funzioni che lo stesso presidente Conte, e per questo lo ringraziamo, ha sottolineato essere essenziali”.

Il sindacato dei giornalisti Fnsi ha invece evidenziato il fatto che Conte, nel suo messaggio di ieri, “abbia riconosciuto l’importanza del lavoro che migliaia di cronisti stanno svolgendo in questi giorni, sottolineando che anche i giornalisti sono una categoria a rischio”. Quindi in una nota firmata da segretario generale Raffaele Lorusso e presidente Giuseppe Giulietti, hanno chiesto innanzitutto che “anche i giornalisti e gli operatori dell’informazione” siano formalmente inseriti “fra le categorie a più altro rischio di contagio”. E poi si sono uniti ai colleghi nel chiedere maggiore partecipazione: “E’ necessario che”, hanno concluso, “anche nelle comunicazioni formali di provvedimenti destinati a produrre effetti per la collettività, non venga mai meno il contraddittorio con i giornalisti“.