Nel 1765 Immanuel Kant scrive Sogni di un visionario chiariti coi sogni della metafisica; occasione del testo fu la farneticante teoria di Swedenborg, convinto di poter comunicare con le anime dei defunti. Kant demolisce sul piano logico le tesi del visionario; poi usa l’arma dell’ironia: certe farneticazioni “si combattono coi purganti”.
Ne parlo perché anche qualche settimana fa qualche intellettuale è andato “oltre i limiti della ragione” e ha costruito “teoremi” assurdi: Giorgio Agamben, per dire, con “Lo stato d’eccezione provocato da un’emergenza immotivata” (Il Manifesto, 26 febbraio); gli ha risposto Jean-Luc Nancy, filosofo francese; e da qualche giorno sul sito della rivista MicroMega Paolo Flores d’Arcais, “Filosofia e virus: le farneticazioni di Giorgio Agamben” (16 marzo). Se ne discute, insomma. E giustamente; Agamben è filosofo accreditato a livello internazionale (teorico della biopolitica, inaugurata da Michel Foucault) ma stavolta, davvero, l’ha sparata grossa.
In breve: sono “irrazionali e del tutto immotivate – scrive – le misure di emergenza per una supposta epidemia dovuta al virus corona”; “I media e le autorità si adoperano per diffondere un clima di panico, provocando un vero e proprio stato di eccezione, con gravi limitazioni delle condizioni di vita e di lavoro”; obiettivo: “usare lo stato di eccezione come paradigma normale di governo… Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto per ampliarli oltre ogni limite”. Kant disse che Swedenborg è un “candidato all’ospedale”; cosa direbbe di Agamben?
E’ pazzesca la negazione dell’evidenza: del contagio, dell’epidemia; la negazione, in verità, delle attestazioni della scienza; e maniacale l’insistenza sul complotto del governo “per imporre lo stato d’eccezione”. In verità, al Nostro ha già risposto Jean-Luc Nancy: “Giorgio Agamben sostiene che il coronavirus differisce appena da una semplice influenza. Dimentica che per la ‘normale’ influenza disponiamo di un vaccino di provata efficacia”. Di più: Nancy cita un episodio personale che la dice lunga sulle certezze di Agamben: “Quasi trent’anni fa, i medici hanno giudicato che dovessi sottopormi a un trapianto di cuore. Giorgio fu una delle poche persone che mi consigliò di non ascoltarli. Se avessi seguito il suo consiglio probabilmente sarei morto ben presto” (27 febbraio).
Ecco: Agamben è un intellettuale lucido nel suo specifico campo d’indagine (le sue idee sulla tanatopolitica, sul Potere che “dispone della vita e della morte dei sudditi” hanno fatto discutere), ma è anche uno che invita a non fidarsi dei medici; noi preferiamo non fidarci di lui quando farnetica contro la scienza ed elabora tesi complottiste.
Ha ragione Paolo Flores d’Arcais a criticare “le perle distillate” sul Manifesto (anche in “Contagio”, 11 marzo) “da un filosofo di rinomata audience, che si porta molto”; Agamben infatti scrive: media e autorità soffiano “sulla cosiddetta epidemia”; “una delle conseguenze disumane del panico che si cerca di diffondere in Italia… è la stessa idea di contagio”; per il Nostro il problema non è il contagio, che non c’è, ma che se ne diffonda l’idea; d’altronde: “l’idea di contagio era estranea alla medicina ippocratica” (“mo me lo segno”, direbbe Travaglio).
Stringente Flores versus Agamben sui Promessi sposi: “Il buon Manzoni mai avrebbe immaginato che il suo romanzo sarebbe stato letto al contrario di quanto voleva dire. Questo testo è attualissimo, infatti, non già perché Manzoni neghi l’idea del contagio… bensì perché fustiga le autorità che troppo a lungo preferiscono ignorarlo”. Perfetto. Flores distrugge sul piano logico Agamben per il quale “non è il virus che rende ogni persona un potenziale moltiplicatore del contagio. No. Sono ‘le recenti disposizioni’… che ci costringono a vivere l’un l’altro come potenziali untori. Ai manuali di logica, nel capitolo dedicato alle ‘fallacie’, sarà d’uopo aggiungere una nuova fattispecie: la fallacia dell’untore, o fallaciagamben”.
Può bastare per cogliere il senso e la portata di una disputa tra filosofi sul coronavirus; e per evidenziare come, a volte, anche intellettuali attenti (come sicuramente è Agamben) perdano “il senso della realtà”. Flores invita alla razionalità: per risollevarci dalle macerie – dice – urgono “più eguaglianza e più illuminismo, scienza, ricerca. Senza di che la democrazia non ce la farà.”
Che dire ad Agamben? Gli pongo la domanda che vale da sempre – e non gli è certo ignota- contro i negazionisti di ogni tipo: visto che il contagio non c’è, può spiegarci che fine hanno fatto i familiari di quei ragazzi disperati che piangono centinaia di padri e nonni morti ogni giorno per il virus?
Non se ne può più di certa filosofia, delle enormi forzature (“l’invenzione dell’epidemia”, “il complotto del governo”); capisco la provocazione di Flores: “è una filosofia del cazzo”. Kant era più elegante, d’accordo, ma nella sostanza sosteneva la stessa tesi: “certe farneticazioni si combattono coi purganti”.
P.s. Quanto sopra è un doveroso omaggio agli scienziati, ai medici, agli infermieri che non si inducono piacere con le parole (“l’idea del contagio era estranea alla medicina ippocratica”), ma lottano ogni giorno e ogni ora per salvare vite dal contagio “che non c’è”.