Sponsorizzazioni dalle scommesse, magari una nuova legge sugli stadi a misura di speculazione e, perché no, pure una bella riforma dei diritti tv a vantaggio dei grandi club. Qualche presidente del pallone spera che l’emergenza Coronavirus diventi l’occasione per un “regalo” da parte dello Stato. Eppure per certi versi il calcio italiano farebbe quasi tenerezza. I vari Cairo, Agnelli (Lotito no, è sempre Lotito) sinceramente preoccupati dal futuro, costretti a tirare la cinghia per far arrivare le loro aziende alla fine del mese, come imprenditori qualsiasi. La pandemia non fa distinzione fra poveri e facoltosi, anche il ricco mondo del pallone si scopre povero ed è costretto a bussare alla porte del governo. Meriterebbe un aiuto, è un’azienda che produce oltre un miliardo di gettito fiscale l’anno per lo Stato, è troppo importante per il nostro Paese e va sostenuta. Purché qualcuno non se ne approfitti, però.
Se non si gioca, la gente non va più allo stadio, le magliette non si vendono, gli sponsor spariscono, le tv chiudono i rubinetti (mentre gli stipendi dei calciatori forse bisogna continuare a pagarli, è in corso un braccio di ferro col sindacato, ma questa è un’altra storia). C’è il rischio di finire materialmente i soldi. Così negli ambienti del pallone è nata l’idea di un “salva calcio”. La Figc di Gabriele Gravina sta lavorando da tempo, raccogliendo le indicazioni delle varie Leghe, per preparare un pacchetto di provvedimenti da presentare al governo. Il testo dovrebbe arrivare sui tavoli di Palazzo Chigi questa settimana. Non c’è niente di male. Anzi, l’emergenza potrebbe essere l’occasione per far fronte comune e realizzare finalmente le riforme di cui il calcio italiano ha bisogno da tempo.
La bozza contiene in effetti diverse richieste di buon senso, dal riconoscimento di una causa di “forza maggiore” che permetta ai club di rinegoziare gli stipendi, alla sospensione dei canoni degli impianti (già approvata fino al 30 giugno). Ma c’è il rischio che all’ultimo venga infilato un “regalino” di troppo. Anche perché se è vero che oggi gli scenari sono pessimi e si ragiona su una perdita superiore al mezzo miliardo per l’annullamento della stagione, in caso di ripresa e conclusione dei campionati in estate, i danni sarebbero decisamente più limitati e non giustificherebbero misure tanto straordinarie.
Qualcuno, ad esempio, non ha rinunciato alla speranza di ricevere soldi freschi dal governo. Troppo, persino per i presidenti del pallone, che però hanno già trovato l’alternativa: chiedere dei provvedimenti formalmente a costo zero dello Stato, ma non per questo senza conseguenze. Ad esempio, la Lega di Serie A vorrebbe reintrodurre per un paio di stagioni (almeno) le sponsorizzazioni da scommesse, vietate un anno fa dal Decreto dignità: un provvedimento costato al campionato circa 100 milioni, ma fortemente voluto dal Movimento 5 stelle per il suo impatto etico; per questo ogni richiesta in tal senso era stata fin qui sempre respinta al mittente, ma chissà che adesso la situazione non cambi. Altra proposta: un fondo “salva-calcio” per promuovere la ripatrimonalizzazione dei club. Ma perché lo Stato dovrebbe farsi carico di un simile onere?
Ancora: sospensione degli oneri della sicurezza a carico dei club, che pagano (giustamente) tra l’1 e il 3% dei ricavi da stadio per l’ordine pubblico durante le partite. Ma questo è niente: c’è chi vorrebbe una nuova legge sugli stadi, più permissiva (come se fosse quello il vero motivo per cui non si fanno impianti in Italia, e non i troppi tentativi di speculazione…). O chi addirittura sta spingendo per la riforma della Legge Melandri e per tornare alla vecchia vendita soggettiva che faceva la fortuna solo dei grandi club. Ma cosa c’entrano i diritti tv con il Coronavirus?
Insomma, mentre all’estero il calcio fa fronte comune e cerca di trovare al suo interno le risorse per superare la crisi (in Inghilterra, ad esempio, la Lega dei campionati minori ha subito messo a disposizione 50 milioni di sterline, tra anticipo dei premi e prestiti a tasso zero, per i club che dovessero ritrovarsi a corto di liquidità), da noi si cerca la scorciatoia. Utilizzare la crisi per far passare leggi e provvedimenti che in una situazione normale sarebbero stati impensabili. Anche nell’emergenza, il calcio italiano non cambia mai.