Due settimane fa il pianeta carcere rischiava di esplodere, dopo le prime limitazioni alle visite dei parenti. Adesso i detenuti del Veneto scrivono al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a papa Francesco per dimostrare la loro preoccupazione per la situazione generale e raccontare le proprie angosce: “Ci meritiamo la pena, non questa tortura”. Il primo inquilino del Quirinale ha risposto. “La vostra lettera mi ha molto colpito perché è il segno di una sincera preoccupazione ed esprime il vostro coinvolgimento anche nelle vicende più drammatiche di tutta la collettività, di cui voi tutti siete parte”. E aggiunto: “Ho ben presente la difficile situazione delle nostre carceri, sovraffollate e non sempre adeguate a garantire appieno i livelli di dignità umana e mi adopero per sollecitare il massimo impegno al fine di migliorare la condizione di tutti i detenuti e del personale della Polizia penitenziaria che lavora con impegno e sacrificio”. Poi, riferendosi alla colletta delle detenute del carcere femminile della Giudecca, che hanno versato un euro a testa per l’ospedale di Venezia, Mattarella aggiunge: “Il vostro gesto di grande generosità e vicinanza per il servizio ospedaliero veneto manifesta il senso di grande solidarietà che avete maturato in questo drammatico momento per l’umanità. Pur nella vostra condizione di privazione della libertà, avete trovato la sensibilità e la forza per aiutare chi soffre negli ospedali e chi si prodiga generosamente per la loro guarigione”.
La risposta del presidente Mattarella è stata pubblicata da Il Gazzettino due giorni dopo aver ospitato la lettera dei detenuti di Padova e Vicenza, delle detenute di Venezia e delle cooperative che operano a contatto con i reclusi. “Noi, tra gli ultimi della società, siamo angosciati per i nostri cari che sono al di fuori di queste mura, come loro lo sono per noi. Le condizioni in cui ci troviamo a vivere sono difficili, in alcuni casi impossibili. Qualcuno potrebbe dire che nel Veneto tutto sommato la situazione non è delle peggiori (ma vi assicuriamo che è la guerra dei poveri), come potrebbe dire che il carcere ce lo siamo meritato. Per la stragrande maggioranza è vero, ma ci siamo meritati una pena, non una tortura”.
I detenuti avevano aggiunto: “Ci dovrebbe essere tolta la libertà, non la dignità, il diritto alla salute, il diritto a vivere. Le restrizioni imposte le rispettiamo, ma non le condividiamo del tutto, ad esempio alcune misure come la sospensione dei colloqui con i famigliari, le attività dei volontari e delle associazioni, i permessi premio e le attività degli uffici di sorveglianza”. Un appello accorato: “Una visita anche un’ora alla settimana, una parola di conforto di un volontario, un’attività anche se saltuaria, sono piccole cose che ci tengono in vita. Forse tanto malessere non si sarebbe manifestato con violenza se fossero state comunicate ai detenuti le disposizioni tenendo conto del dolore che avrebbero provocato e dando subito in contemporanea la possibilità di telefonare tutti i giorni e di avere colloqui Skype più frequenti”.
Colpisce la sensibilità dei detenuti orientata all’interesse comune. “Noi oggi dobbiamo lottare tutti uniti contro la stessa cosa e non contro di noi. Qui non vale più il gioco di guardie e ladri! Qui in gioco c’è la vita di ciascuno di noi, anche del più derelitto”. A nome dei 61mila detenuti italiani e delle 45mila persone impegnate nella gestione delle carceri, chiedono “un’attenzione più umana” e ringraziano medici e sanitari, che chiamano “i nostri angeli della Sanità”. Poi ricordano la colletta delle detenute di Venezia (un euro a testa, 110 euro in 70 persone) per il reparto di terapia intensiva dell’ospedale dell’Angelo di Mestre, e il lavoro nella casa di reclusione di Padova che fornisce il servizio del centro unico prenotazioni sanitario. Riferendosi alla preoccupazione per l’eventuale diffusione del contagio nelle carceri sovraffollate, concludevano: “Vorremmo ricordarLe, Signor Presidente della Repubblica, che le istituzioni tutte hanno la responsabilità e il dovere di tutelare anche le fasce più deboli e indifese della società. Al nostro Papa Francesco diciamo grazie e non ti preoccupare se i potenti non ti ascoltano o ti ascoltano poco, noi ti vogliamo bene”.