Il 14 marzo ho pubblicato su questo blog alcuni possibili scenari della pandemia per il mese di marzo in Italia. Fino a che punto erano corretti? Vediamo. Il Grafico 1 presenta innanzitutto le proiezioni del mio scenario “ottimista” (OT) del 14 febbraio, che tiene conto del progressivo social distancing in atto (v. le linee tratteggiate fino al 31 marzo). Presenta inoltre gli sviluppi reali (R) registrati fra il 14 e il 22 marzo (le linee continue che si arrestano al 22).
Cominciando dal numero dei casi di contagio totali registrati (linea blu tratteggiata, asse di sinistra), l’andamento è per ora migliore delle attese. La proiezione infatti stimava al 22 marzo 82.344 casi; il numero reale (linea blu continua) è stato 59.138. Passando ora all’asse di destra, le linee rosse rappresentano i decessi. Qui la forbice si riduce: la proiezione (tratteggiata) stimava 6.174 il 22/3; i dati ufficiali (R Morti) indicano 5.476 decessi. Infine, le linee fucsia indicano le terapie intensive (T.I.): il bisogno era stimato a 4.194; i ricoveri reali in T.I. sono 3009.
Come interpretare questi dati? Premetto che ci sono moltissime forze in gioco, e una non esclude necessariamente l’altra. Inoltre i dati medi italiani celano situazioni diverse: ci sono focolai in pieno sviluppo, altri che procedono lentamente, ecc. Infine, non ho nessuna difficoltà a dire che il mio modello è molto primitivo. Ciò detto, credo che i “casi rilevati” negli ultimi giorni risentano dello stress crescente del SSN, e che pertanto il trend della proiezione (oltre ovviamente al livello) sia forse più realistico di quello dei dati (R) cosiddetti “reali”. Ora spiego perché.
Un secondo grafico evidenzia quanto sta accadendo al SSN. La linea rossa crescente indica la % dei Decessi/Casi Totali (asse di sinistra). Essa passa dal 6,6% al 9,3% fra l’11 marzo e il 22 marzo. Perché “si muore di più”? Un motivo è che siamo all’inizio della pandemia: chi si ammala “ci mette un po’” a guarire o a morire (infatti la percentuale dei guariti sui casi totali passa nello stesso periodo da 8,4% a 11,9%, e il rapporto decessi/guariti dopo l’11 marzo, a credere ai dati, è abbastanza stabile). Un’altra possibilità è che lo stress del SSN – evidenziato dalle due linee discendenti – comincia ad incidere sul tasso di letalità.
La linea verde è il primo indicatore di stress. Essa rivela un progressivo crollo della percentuale di malati che vanno in terapia intensiva: dal 10,3% del 10 marzo al 6,5% del 22 marzo (asse di sinistra). Il virus sta diventando meno cattivo? Più probabilmente, la carenza di ventilatori polmonari non consente al SSN di mettere in T.I. una quota crescente dei malati gravi. Ciò, nonostante i ricoveri in T.I. siano saliti da 1.328 a 3.009: indice della corsa contro il tempo in atto, dello sforzo enorme degli ospedali per approntare o liberare nuovi posti di T.I. Questo sforzo tuttavia non sembra tenere il passo con la pandemia. Da qui la crescente letalità del virus?
La linea gialla indica il rapporto fra malati ricoverati in ospedale e malati in isolamento domiciliare (asse di destra). Il 12 marzo i ricoveri in ospedale erano 6.650 mentre a casa c’erano 5.036 malati (un rapporto di 1,3). Questo rapporto oscilla poi fra 1,1 e 1,2 fino al 18 marzo, poi crolla a 0,8: il 22 marzo i ricoverati sono 19.846, ma i malati in isolamento domiciliare 23.783. Una possibile spiegazione è che anche i semplici posti letto in ospedale siano sempre meno disponibili, e/o i tempi di ricovero si siano allungati (tamponi fatti con ritardi crescenti, ambulanze sovraccariche, ecc.). Le linee gialla e verde potrebbero spiegare in parte la crescente letalità (linea rossa).
Se tale interpretazione è corretta, è anche possibile che molti nuovi casi di contagio non vengano ormai neppure segnalati, o segnalati in ritardo (*). Ciò spiegherebbe perché nel primo Grafico la linea blu (R Casi “rilevati”) si abbassi dopo il 15 marzo rispetto alla proiezione tratteggiata. Naturalmente è anche possibile che le proiezioni del 13 marzo siano sovrastimate.
Alla luce dei dati emersi fra il 14 e il 22 marzo, le prospettive di breve termine, pur in mezzo a tanta incertezza, restano a mio avviso quelle indicate dal modello OT del 13 marzo, se non anche migliori. Esso prevedeva e ancora prevede un picco dei nuovi contagi il 25 marzo, e un picco/plateau di malati (fra ricoverati e in isolamento domiciliare circa 86.000, o 66.000 persone con i criteri di raccolta dei dati attuali) fra il 27 e il 31 marzo. La domanda nozionale (= implicita in base ai criteri di ricovero pre-13/3) di T.I. continuerà ad impennarsi violentemente nei prossimi 4 giorni. (Se non soddisfatta potrebbe provocare un nuovo aumento dei decessi da qui a fine mese). Il picco di domanda delle T.I. è atteso per il 26 marzo (con 5.324 domande nozionali), seguito da un lento declino. La domanda e l’offerta di posti di T.I. dovrebbero tornare in faticoso equilibrio a partire dal 2 aprile, grazie anche al continuo aumento dell’offerta (la corsa contro il tempo di cui sopra, gli aiuti internazionali, ecc.). Il picco al Nord dovrebbe arrivare un giorno prima, compensato da una crescita al centro-Sud.
Il punto critico che emerge dall’analisi dei dati è la tenuta del SSN. Che (secondo i protocolli dell’OMS) in caso di pandemia è il primo a dover essere protetto, e che invece, ancora oggi, ha bisogno urgente di mascherine, guanti, protezioni, e di frequenti test Covid-19: senza i quali gli ospedali stanno diventando un centro di infezione. Inoltre, il SSN molto spesso non arriva ancora ad aiutare i malati che stanno a casa: da qui, tramite coloro che li assistono o che convivono, il virus rischia di propagarsi al di fuori. Il terzo punto di contagio ancora parzialmente scoperto sono i trasporti pubblici urbani: occorre autorizzare e incentivare l’uso di automobili, motorini, biciclette per recarsi al lavoro, e introdurre l’obbligo di mascherina sugli autobus.
In conclusione, i dati degli ultimi giorni, per quanto impressionanti, sono in linea con le attese: non giustificano nuove “strette” generali dopo quelle decise finora; né smentiscono la scommessa del governo iniziata il 10 marzo con le prime misure stringenti (Decreto “Io resto a casa”). Certo lo stress sul SSN è terrificante. Un medico è morto l’altro giorno (e sono 17!): nella sua ultima intervista spiegava di essere costretto a lavorare senza guanti perché erano finiti. Stiamo pagando duramente la superficialità, la sottovalutazione, e il tempo perso fino al 10 marzo. Il 4 marzo disperatamente scrivevo: “Non posso credere che il governo non abbia ancora varato un Piano di rafforzamento urgente del SSN… Non posso credere che Conte… non si sia ancora rivolto ai cittadini in modo solenne, invitandoli tra l’altro a uscire di casa il meno possibile… la Cina ha dimostrato che il virus si batte solo con una reazione unitaria molto aggressiva”. Questa reazione ora finalmente c’è stata: dobbiamo solo resistere ancora qualche giorno. La notte è più buia prima dell’alba. Il giorno dopo non saranno rose e fiori. Ma ne parliamo un’altra volta.
(*) Mi rendo conto che fin dall’inizio i contagi non rilevati sono stati probabilmente molti di più di quelli rilevati (da qui anche l’alta letalità), e che questa non sia una novità. Ma qui m’interessa il trend: capire se, e perché, la quota di casi “non rilevati” stia aumentando.