Lavoro & Precari

Coronavirus, sindacati: “Paradossi da decreto su fabbriche. A Varese Leonardo chiede di far ripartire la produzione sospesa finora”

L'allargamento delle maglie dell'ultimo provvedimento del governo per lo stop totale delle attività produttive produce effetti distorti - emblematici - nel Varesotto dove la società statale ma anche la BTicino che dopo trattative avevano deciso il blocco degli stabilimenti provano a ripartire perché "collegate a produzioni essenziali". Cgil, Cisl e Uil alla prefettura: "Fermi tutto"

Dall’azienda metalmeccanica Bticino Spa, già ferma dopo l’accordo raggiunto tra società e sindacati sulla chiusura (prorogata negli ultimi giorni), fino all’aerospaziale Leonardo. Quello che sta avvenendo in queste ore in provincia di Varese è l’emblema degli effetti, in alcuni casi paradossali, prodotti dalle maglie allargate “last minute” nel decreto sulla chiusura delle fabbriche. Un decreto che rischia di consentire ad aziende la cui produzione non è essenziale, di riaprire anche in piena emergenza, solo perché collegate a quelle ritenute strategiche dal governo. Proprio nelle sedi di Leonardo presenti nel Varesotto, l’attività che si è già fermata da una settimana per ripristinare le condizioni di sicurezza dei lavoratori, sulla carta potrebbe ripartire. Anzi, questo è il piano aziendale. Lo segnalano i responsabili di zona di Fiom, Uilm e Fim in una lettera indirizzata al prefetto della provincia di Varese, Enrico Ricci. “Oggi nel decreto – scrivono – la dirigenza vede la possibilità di poter riaprire, passando tramite la sua autorizzazione. Autorizzazione che evidentemente, l’azienda, ritiene scontata visto che la riapertura è immediata”.

LA LETTERA AL PREFETTO – Nella lettera al prefetto i sindacati definiscono “impreciso” e “inefficace” il modo cui è stato definito il tema delle attività produttive essenziali, e che quindi possono rimanere aperte, a seguito dei decreti emanati dal governo per gestire la crisi sanitaria. “Nell’ultimo decreto l’elenco delle categorie produttive esenti dall’obbligo di chiusura non è esaustivo, lascia spazio a dubbi interpretativi e a grande discrezionalità da parte delle imprese” scrivono, spiegando che “molte aziende ritengono di potersi ricondurre alla filiera di quelle che possono continuare l’attività produttiva, previa comunicazione al prefetto della provincia di appartenenza”. Una situazione che poco risponde all’esigenza sottolineata da Cgil Cisl e Uil Lombardia, secondo cui in tutta la Regione occorre intervenire in modo deciso “senza se e senza ma”.

L’APPELLO – Da qui l’appello: “Con questo decreto alcune aziende decideranno di chiudere, altre sicuramente si rivolgeranno a lei, inviandole la comunicazione e iniziando l’attività regolarmente fino a quando non dovesse, semmai, arrivare una sua comunicazione sospensiva”. I sindacati chiedono, invece, “di limitare al massimo, se non del tutto, la continuazione dell’attività nelle aziende non rientranti nell’elenco allegato al decreto (punto 1, Lettera h, del decreto del 22 marzo 2020)”. E descrivono quello che è il clima tra i lavoratori: “Le lasciamo immaginare, comunque, che clima e che sicurezza ci possa essere nelle aziende in una situazione di generalizzata difficoltà, dove è complicatissimo reperire le mascherine protettive persino per chi opera in ospedale. In ogni impresa del paese – aggiungono – la salute delle persone deve venire prima di tutto”.

I PARADOSSI – Tra i casi che in queste ore fanno maggiormente riflettere ci sono proprio le aziende che, anche dopo trattative con i sindacati, erano giunte autonomamente alla decisione di chiudere o, comunque, che avevano ridotto all’osso le attività. Fra queste c’era, ad esempio, lo stabilimento di Bizzozero di Varese della BTicino Spa, azienda del gruppo francese Legrand, per cui era stata concordata la proroga fino al 20 marzo della chiusura delle unità produttive del gruppo, già oggetto di un precedente accordo siglato il 16 marzo. Ora però, le cose potrebbero cambiare perché il decreto permette all’azienda di continuare la produzione. “Ma non è la sola – spiega a ilfattoquotidiano.it Nino Cartosio, segretario Fiom Cgil della provincia di Varese – visto che su tutto il territorio sono diverse le aziende che avevano già quasi azzerato le attività”.

IL CASO DI LEONARDO – Emblematico il caso dell’industria aerospaziale e, in particolare, di Leonardo, a cui sono legate altre numerose imprese dell’indotto del territorio (e non solo) e spopolata ormai da una decina di giorni. Premessa: nel comparto aerospaziale, l’attività è consentita “previa autorizzazione del prefetto della provincia ove sono ubicate le attività produttive”. La società ha così già comunicato a lavoratori e sindacati la ripresa dell’attività e la relativa comunicazione inviata al prefetto, affinché dia il via libera. “Una riapertura che non è motivata – spiega Cartosio – non essendoci in produzione velivoli da utilizzare nell’emergenza per il Covid19 e che esporrebbe nuovamente i lavoratori e le loro famiglie a rischio di contagio, solo per un produzione che non sarà certo ritirata dai clienti. Non ha senso”. A questo si aggiunge il rischio di aprire uno stato di agitazione. I sindacati chiedono al prefetto di erogare “con estrema urgenza” il provvedimento sospensivo in tempi immediati. E ribadiscono la necessità di non consentire, in generale, l’apertura di aziende, semplicemente perché condividono la stessa filiera di quelle autorizzate per decreto. “In questo modo, oltre all’allargamento, eccessivo e ingiustificato, prodotto dal decreto nella costruzione dell’elenco delle imprese indispensabili – scrivono – verrebbe meno il concetto di ‘produzioni essenziali’, che sono le uniche a dover stare aperte e che, come suggerisce e dice il termine stesso, devono essere certamente una piccolissima quota del totale”.