Erano i primi anni del 2000 quando sono apparsi nella vita degli sportivi i campi sintetici. Un’ottima soluzione che permetteva di fare sport senza più doversi preoccupare delle condizioni atmosferiche; che piovesse o nevicasse, il campo era sempre perfetto e agibile. Gli amanti di calcio, tennis, golf e rugby hanno conosciuto una nuova vita grazie a questa soluzione. L’efficacia dei campi sintetici ha fatto sì che solo negli ultimi 12 anni venissero installati una media di 120 campi sintetici all’anno, se si contano solo quelli nei centri sportivi; a questi poi vanno aggiunti tutti quelli degli oratori, dei centri ricreativi e dei giardini pubblici. Una somma il cui risultato è pressappoco impossibile da calcolare.
Oggi se si fa sport, quasi sicuramente lo si fa su un campo sintetico. Quella che però venti anni fa appariva come la più brillante delle trovate, oggi sta presentando il suo effetto collaterale. I campi non hanno una vita infinita ma hanno un ciclo di utilizzo che dura una ventina di anni. Oggi quindi molti dei campi installati hanno bisogno di essere rimossi e sostituiti, e qui viene il problema: che farne dei vecchi campi? Una domanda la cui risposta non è immediata e tutt’altro che banale. Il problema nasce dal fatto che la composizione chimica dei materiali di cui sono fatti i campi rende molto complicato riciclarli e riutilizzarli. I sintetici sono formati da diversi strati: il primo è quello dei fili di erba, composti da una miscela di parti di polipropilene, polietilene, siliconi vari e tratti di ppc; sotto ci sono diversi livelli composti di sabbie varie e gomma, gran parte ricavata da vecchi pneumatici delle auto. Secondo Ecopneus, società senza scopo di lucro formata dai principali produttori di pneumatici italiani, le tonnellate all’anno di questo materiale usato per creare campi sintetici sono più di 500mila.
Ogni singolo campo da calcio a 11, secondo le stime di Tires, una società specializzata nel recupero di manti in erba sintetica, ha una estensione di quasi 8mila metri quadrati che contengono circa 32 tonnellate di manto vero e proprio, 80 tonnellate di sabbia e fino a 120 tonnellate di gomma riciclata. Oggi le tecniche per riutilizzare e convertire questi materiali sono poche e ancora meno conosciute: il fatto che i campi siano formati di diverse miscele rende molto complicato dividere i singoli componenti per poterli poi, successivamente, riciclare. Il problema però non è solo italiano. Il sito americano FairWarning, che si occupa di ambiente e sanità, ha di recente presentato una lunga inchiesta in cui fa luce sulla situazione negli Stati Uniti: secondo i suoi dati, in America ci sono più di 13mila campi, con più di 1500 nuove installazioni ogni anno, al pari di 750 rimozioni nello stesso periodo.
Questo genera più di 5mila chili di plastica (sotto forma di manti artificiali) da riciclare, di cui gran parte viene abbandonata nelle discariche, e lì resta. FairWarning riporta le storie di molte persone che si limitano a portare i campi nelle discariche perché semplicemente non sanno che cosa farsene. La legge negli Stati Uniti non esprime di chi siano le responsabilità, e oggi non è assurdo imbattersi in queste discariche a cielo aperto di campi sintetici. “La situazione è molto più grave in America che in Europa“, dice Dennis Andersen, proprietario della società Re-Match, una compagnia danese che ha creato una macchina in grado di riciclare e riutilizzare il 99% del materiale dei campi sintetici.
Se questa è la situazione in America, quella europea non è tanto migliore. “In molti Paesi, come Francia, Germania e Olanda si parla di un vero e proprio disastro ambientale”. A dirlo è Luca Bacchi, titolare di Sabbie di Parma, unica società a fare qualcosa di simile a Re-Match in Italia. Le sue parole sono confermate da un recente documentario olandese in cui vengono mostrare le immagini di queste enorme ‘montagne di campi sintetici’ formate da manti abbandonati. “In Italia il problema è ancora lieve – spiega sempre Bacchi – ma semplicemente perché da noi i campi sono arrivate più tardi rispetto ad altri Paesi“. Ma ci sono tutte le premesse per seguire gli esempi negativi degli altri stati europei. A partire dalla conoscenza del problema: “In Italia – continua Bacchi – molti gestori di campi, ma anche i singoli Comuni, non conosco le normative per riciclare i campi. Non sanno chi deve venire a prenderli, dove portarli e come gestirli”. Il 90% delle discariche, secondo i dati della società di Bacchi, non accetta neanche di ritirare i campi. Non tanto per una questione economica, comunque molto alta, ma soprattutto per ragioni di volume. Non hanno spazio per mettere tutte quelle tonnellate di manto sintetico.
Agire autonomamente per i singoli gestori di campi può essere molto pericoloso: senza il giusto codice EER, non si è autorizzati a trasportare i manti erbosi, che una volta smessi vengono classificati come rifiuti a tutti gli effetti; si corre il rischio di trasporto illecito di rifiuto. La stessa donazione alle parrocchie o ‘regalarli’ ai passanti interessanti può portare una accusa di traffico illecito di rifiuto. Insomma, per non conoscenza si corre il rischio di cadere nel Penale. “Non bisogna solo trovare una soluzione al problema, ma è necessario anche fare cultura, far capire alla gente il problema e mostrare la giusta prassi da seguire per risolverlo”, conclude Bacchi. Le attività di società come quella di Bacchi e la Re-Match danese rappresentano oggi l’unica soluzione, ma altre ne stanno già nascendo: la società Versalis realizza campi in un materiale che poi può essere riutilizzato in ambiti totalmente diversi dai manti, come ad esempio in molte applicazioni in ambito sportivo (parastinchi, gomitiere e pettorine) e nel settore dell’arredamento (vasi, accessori e attrezzatura da giardino).
Entrambe queste soluzioni sono state inserite in uno studio dell’università Sant’Anna di Pisa all’interno del progetto europeo Life TACKLE, che prende in considerazione l’impatto ambientale non solo dei campi sintetici, ma anche di quelli in erba naturale. Acqua, lampade speciali per far crescere l’erba ed emissioni di Co2 legate al trasporto fanno dei campi naturali anch’essi molto impattanti dal punto di vista ambientale. Quasi all’improvviso ci siamo resi conto che anche i campi sintetici necessitano di attenta e corretta gestione per evitare che diventino dei killer ambientali, e come sempre, il primo passo è conoscere il problema.