Per la maggior parte professori delle università italiane, da La Sapienza alla Bocconi, hanno pubblicato sulla rivista Micromega le loro richieste alla Banca centrale e ai governi europei. Criticano le posizioni di Lagarde, chiedono l'addio al Patto di stabilità e definiscono il Fondo salva-Stati uno strumento che "non è in grado di salvare nulla". Il capo politico dei 5 stelle: "Lo sottoscrivo, l'Europa dell’austerità resiste" e il Mes "è una delle sue zavorre"
Una presa di posizione contro “l’attuale classe dirigente europea” che di fronte all’emergenza coronavirus non ha capito che “le idee che hanno guidato finora la politica economica sono profondamente sbagliate“. Una richiesta rivolta a Ue e Bce per chiedere di cambiare rotta, di abbandonare il Fiscal compact e di seguire la via tracciata dal “whatever it takes” di Mario Draghi. Il capo politico del Movimento 5 Stelle, Vito Crimi, nei giorni in cui a Bruxelles si discute dei possibili strumenti che consentano agli Stati membri dell’Ue di affrontare adeguatamente le conseguenze della pandemia, condivide l’appello pubblicato sulla rivista Micromega e sottoscritto da 67 economisti italiani, a cui a loro volta hanno aderito anche altri 36, portando le firme a oltre cento (qui l’appello).
Sono per la maggior parte professori delle università italiane, a partire da La Sapienza di Roma, passando per molti altri atenei italiani, dalla Bocconi di Milano alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Ripercorrono le prime affermazioni della presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, che a loro dire hanno fatto perdere di “credibilità” la retromarcia annunciata successivamente con un Quantitative easing da 750 miliardi. Ma chiedono anche una revisione delle “regole di funzionamento dell’Unione”. Infine, sul Fondo salva-Stati (Mes), affermano che “non è in grado di salvare nulla” ma è anzi “uno strumento di disciplina che gli Stati egemoni vogliono usare per imporre il loro dominio su quelli che cadano in difficoltà”.
Crimi, con un post su Facebook e sul Blog delle Stelle, spiega che sottoscrive l’appello “perché molti dei punti da loro proposti mi trovano assolutamente d’accordo. Purtroppo, l’Europa dei vincoli e dell’austerità resiste, non ha ancora mollato gli ormeggi. Se non si deciderà a farlo una volta per tutte, questa sarà la sua condanna“, scrive il capo politico del M5s. Sul meccanismo di stabilità la posizione è netta: “Il Mes è una delle zavorre di cui ci dobbiamo definitivamente liberare per costruire finalmente l’Europa del XXI secolo, un’Europa che sia in grado di sopravvivere ai cambiamenti che stiamo vivendo e di dare risposte ai popoli che ne fanno parte”.
Ecco le richieste contenute nell’appello
Nel loro appello gli economisti italiani formulano quattro richieste che a loro dire sono necessarie nell’immediato, tutte rivolte alla Bce. Innanzitutto, la Banca centrale europea deve riaffermare che “è disposta ad interventi illimitati in base a quanto necessario”. Inoltre, gli acquisti di titoli pubblici non devono avvenire più “in base alle quote di capitale della Banca che ogni Stato possiede, ma in base alla necessità di contrastare la speculazione”. La Bce deve anche annunciare che i titoli sovrani acquistati “saranno rinnovati indefinitamente”. Infine, deve trovare “la formula giuridica compatibile con i Trattati per acquistare a titolo definitivo bond senza scadenza emessi dagli Stati, con rendimento zero o prossimo allo zero, da collocare poi presso le Banche centrali nazionali”.
Guardando al futuro e al post-emergenza, l’appello rivolge cinque richieste ai governi dell’Unione europea. In primis, abbandonare l’idea “che la crescita dell’economia possa essere affidata alle sole esportazioni“. Quindi prendere atto che le prescrizioni contenute nel Fiscal compact “vanno lasciate cadere” e concordare che “il pareggio di bilancio debba valere solo per le spese correnti“. Gli economisti sottolineano anche che la politica fiscale può essere “usata in funzione anticongiunturale, anche se ciò comporta un deficit pubblico o un suo aumento”. Infine, chiedono di abbandonare “i criteri di sorveglianza basati su parametri inaffidabili come il Pil potenziale e l’output gap“.