Scienza

Coronavirus, la sperimentazione su alcuni farmaci di per sé è una buona notizia

Covid-19 sta dominando la società nel suo complesso e ormai anche le relazioni fra gli individui e il tessuto stesso del quotidiano in gran parte degli stati del pianeta. Sembra ieri quando eravamo liberi di circolare e di vivere liberamente. Ci affacciamo dalle finestre e fissiamo le strade sotto casa così stranamente vuote, potentemente silenziose e ripensiamo quasi con rimpianto a quella fuggevole vita che già ci sembra un passato, molto vicino certo, ma di fatto inesorabilmente separato.

Nel frattempo ci viene detto che ci aspettano ancora parecchie settimane di pandemia e forse di isolamento domiciliare. Cosa ci riserva veramente il futuro?

C’è stato anche il tempo di rendersi conto che tante opinioni e tante convinzioni ufficiali erano errate e nuove acquisizioni si sono invece di fatto affermate. Ed è anche tempo però di cercare notizie che ci permettano di sperare concretamente in una soluzione (fine, è sperare troppo?) più veloce possibile delle attuali restrizioni.

Un campo in cui sembra che qualcosa si stia muovendo è fortunatamente quello terapeutico. Si sta polarizzando l’interesse sull’impiego nei malati di Covid-19 di sostanze vecchie e nuove le cui caratteristiche farmacologiche corrispondano teoricamente ad un identikit di plausibile efficacia. E sperabilmente da sole o in combinazione alcuni schemi di trattamento si stanno inaspettatamente rivelando piuttosto efficaci, almeno a giudicare da alcuni studi incompleti e preliminari.

Una necessaria premessa: queste speranze vengono spesso alimentate da farmaci e protocolli terapeutici che al momento attuale non sono stati ancora ufficialmente validati, ma sono preliminari come detto. Per conseguire questa necessaria certificazione di validazione saranno necessari studi scientifici che siano in grado di garantire per il farmaco o i farmaci in esame non solamente l’efficacia, ma anche la mancanza o scarsità di effetti tossici e collaterali, facilità di somministrazione, la compliance e l’associabilità con altri farmaci.

Al momento ci sono diverse categorie di farmaci diverse allo studio. Si cerca infatti di ottenere l’effetto di inibire la replicazione virale per azzerare la carica virale nel più breve tempo possibile e insieme la sintomatologia clinica e anche la contagiosità dei soggetti positivi per Covid-19. In alcuni casi autori anche autorevoli hanno affermato di aver conseguito esiti molto positivi.

Fra i farmaci che si ritiene posseggano una certa attività, in attesa di conferma scientifica e che comunque potranno essere assunti solo su prescrizione e controllo medico, possiamo includere ad esempio antimalarici, antibiotici, vitaminici, antinfiammatori, anticoagulanti, antivirali, fra cui inibitori delle proteasi, come lopinavir/ritonavir e inibitori della Rna polimerasi Rna dipendente, come remdesivir e forse anche altri.

Oggi è partita la sperimentazione sul farmaco sintetizzato come anti influenzale, favirapivir, che sembrerebbe da studi preliminari efficace anche nel trattamento dell’attuale pandemia. Speriamo: il fatto che si sia avviata la sperimentazione è di per sé una buona notizia.

Un altro composto che sembra promettere è la cosiddetta molecola 13b. Basandosi infatti sullo studio della struttura della proteasi principale, i ricercatori hanno ottimizzato gli inibitori dei coronavirus esistenti per sviluppare il composto 13b, un potente bloccante della proteasi principale di Sars-CoV-2. Tale composto attualmente è ancora in una fase iniziale di studio e viene somministrato solamente agli animali di laboratorio.

Viene riferito che 13b avrebbe caratteristiche di maggiore efficacia rispetto agli inibitori esistenti, inclusa un’emivita prolungata nel plasma sanguigno. Un’importante osservazione che deriva dai test sui roditori è che la somministrazione per inalazione è stata ben tollerata e che i topi non hanno messo in mostra effetti avversi. I ricercatori suggeriscono che poiché non sono note proteasi umane con una specificità di scissione simile, è improbabile che questa classe di inibitori sia tossica.

Concluderei con Winston Churchill: It is not the beginning of the end, but the end of the beginning.