Il Cio (Comitato Olimpico Internazionale) ha deciso, convinto dal primo ministro giapponese Shinzo Abe, anche perché Australia e Canada avevano già annunciato il boicottaggio. In queste condizioni le Olimpiadi di Tokyo 2020 non si possono disputare. Rinvio al 2021. Dopo aver bloccato le attività sportive in tutto il mondo, l’emergenza Covid-19 ha pregiudicato il regolare svolgimento di Tokyo 2020. Uno scenario che riporta il Giappone indietro di 80 anni, al tempo di quell’edizione del 1940, mai disputata, che doveva essere la prima delle Olimpiadi moderne in Asia. Oggi come allora, c’è un unico comun denominatore: la Cina.
Dopo aver avuto una grandissima crescita sotto l’aspetto industriale e militare fin dalla fine dell’Ottocento, il Giappone, a partire dagli anni Trenta, comincia a balzare agli onori della cronaca anche per le imprese sportive. Ai Giochi di Los Angeles 1932 arrivano sette ori, sette argenti e quattro bronzi. A Berlino, nel 1936, nel medagliere si annoverano sei ori, quattro argenti e otto bronzi. Tra le diciotto medaglie dell’edizione berlinese spiccano l’oro e il bronzo vinti rispettivamente dai “coreani” Sohn Kee-Chung e Nam Sung Yong – in gara con i nomi di Son Kitei e Shorye Nan (la dominazione giapponese in Corea di quegli anni aveva obbligato gli atleti a “nipponizzare” i propri nomi) – nella maratona.
Dopo l’edizione americana del 1932, in Giappone si comincia a lavorare per portare la rassegna a Tokyo. Per il 1936 ormai è tardi. L’edizione prescelta è quella del 1940. La città da battere è Helsinki. A Berlino, il 31 luglio 1936, la capitale giapponese batte quella finlandese di nove punti: 36 voti a 27. Oltre a quelle estive, il Giappone si accaparra anche le Olimpiadi invernali, da disputare a Sapporo tra 3 al 14 febbraio 1940. Tokyo diventa una città in fermento e pronta a cambiare pelle per ospitare l’evento sportivo più grande della sua storia. Viene disegnato anche il manifesto ufficiale, dove si staglia un atleta che sta salutando la folla con il braccio destro teso. Nella capitale sembra tutto pronto per vivere un momento di gloria nazionale. Questo, almeno, fino all’estate del 1937.
Un antico ponte costruito nel XII secolo e noto come “il ponte di Marco Polo”. Il fiume Yongding. Alcuni spari che risuonano nella notte estiva tra il 7 e l’8 luglio 1937. È “l’incidente del ponte di Marco Polo”. L’evento che fece da detonatore alla Seconda guerra sino-giapponese. Sull’accaduto le versioni si contrappongono. Per i nipponici si tratterebbe di un attacco cinese. Per questi ultimi invece i giapponesi avrebbero inscenato l’accaduto per legittimare l’invasione della Cina. In questo rimbalzo di accuse solo una cosa appare certa: la volontà giapponese di estendere la propria influenza in Cina. Il Giappone aveva iniziato la propria politica espansiva già nel 1931, con l’invasione della Manciuria conclusa due anni dopo con l’armistizio di Tanggu e la creazione del Manciukuò, uno stato-fantoccio controllato dal Giappone.
Col passare dei mesi il conflitto con la Cina diventa un affare lungo e sempre più violento, tanto che all’interno del Cio si comincia a mettere in dubbio l’effettiva capacità del Giappone di ospitare la rassegna. Le rassicurazione dei delegati nipponici non bastano a mascherare le difficoltà. Mentre i militari giapponesi chiedono ufficialmente di completare la costruzione degli impianti olimpici con il legno – in sostituzione del metallo che serve per lo sforzo bellico in Cina – il Giappone decide per la cancellazione dei Giochi dell’Estremo Oriente di Osaka 1938.
La situazione ormai risulta insostenibile per la macchina organizzativa nipponica. Il 16 luglio 1938 il Giappone ufficializza la propria rinuncia a Tokyo 1940. A saltare sarà anche Sapporo 1940. Il Comitato Olimpico Internazionale riassegna l’edizione estiva dei Giochi a Helsinki e quella invernale a Sankt Moritz. L’invasione nazista della Polonia nel settembre 1939 però cancellerà tutto. Tokyo dovrà aspettare ventiquattro anni per vedere realizzato il proprio sogno a cinque cerchi. La fiamma olimpica del 1964 sarà accesa da Yoshinori Sakai, nato il 6 agosto 1945. Un’ora dopo il lancio della bomba atomica su Hiroshima.