Il pavimento è stato posato e si stanno tirando su le pareti. Un lavoro frenetico con squadre di 30-40 tra operai e volontari su tre turni. E a breve si inizierà anche a montare gli impianti: da quello elettrico a quello per l’ossigeno. Sì perché quello che doveva essere l’ospedale da campo degli alpini, annunciato bloccato e poi riavviato, sarà un ospedale da prima linea con un pronto soccorso, una terapia intensiva e una sub intensiva, la radiologia con la possibilità di fare le Tac. Lì nell’area della Fiera di Bergamo la “speranza e l’obiettivo”, come dice Sergio Rizzini il direttore alpino, è di essere operativi “lunedì o martedì”. Nella provincia stremata dall’emergenza per numero di contagi e morti e gli ospedali che hanno occupato ogni spazio possibile per poter assistere più malati possibile, si potrà tirare un piccolo sospiro di sollievo. Anche perché i numeri saranno diversi: non ci saranno più 200-250 posti ma 120: è stato ritenuto necessario cambiare la tipologia della struttura e innalzare il livello di cura. Questa trasformazione porterà ad avere 12 posti letto in Terapia intensiva, 24 in sub intensiva, 30-40 posti per il post sub intensiva e 50 di stabilizzazione con supporto d’ossigeno. Le tensostrutture montate saranno solo due perché verranno utilizzati gli spazi esistenti.
A popolare con l’abnegazione che abbiamo ormai imparato tutti ci saranno infermieri e medici, tecnici e operatori sanitari: circa 100 persone. Tra loro i pochi volontari rimasti liberi dell’Associazione nazionale alpini, medici di altri ospedali della zona e aiuti “esterni”. Emergency ha offerto un team di 20 persone compresi fisioterapisti e logisti. Un aiuto importante perché porta in dote l’esperienza per esempio maturata in Sierra Leone nel 2014-2015 durante l’epidemia di Ebola, come quella di proteggere il personale dal contagio. “Abbiamo proposto una riorganizzazione efficace degli spazi e dei flussi, per ridurre il più possibile le possibilità di contagio – racconta Rossella Miccio, presidente di Emergency -. Ogni dettaglio della struttura è essenziale per contenerlo: è fondamentale che ogni area sia compartimentalizzata, che i luoghi di vestizione/svestizione siano ben definiti, che il movimento delle persone sia pensato e studiato in anticipo. Stiamo mettendo in campo le nostre esperienze maturate in Sierra Leone durante l’epidemia di Ebola. Per farlo abbiamo richiamato alcuni dei nostri colleghi che lavoravano all’estero: stiamo cercando di fare la nostra parte in un momento così delicato per l’Italia.”
Una conoscenza, quella delle situazioni estreme, che non manca agli alpini che in passato hanno gestito ospedali da campo durante il terremoto in Centro Italia (Norcia), in Giordania per i profughi siriani, in Sri Lanka nel dopo tsunami dove ricorda Rizzini “sono nati 298 bambini” e prima ancora in Kosovo durante la guerra. Si aggiungerà personale che arriva dalla Russia come ha fatto sapere Mosca: un gruppo di specialisti militari russi si sta preparando per il dispiegamento nell’area. Uno o due team. Il personale cinese arrivato nei giorni scorsi è stato destinato ad altre strutture. “Man mano che si consolideranno i team – spiega Rizzini – aumenteremo la nostra capacità di risposta e di accoglienza dei pazienti che non arriveranno più dagli ospedali come si era ipotizzato in origine, ma arriveranno direttamente con le ambulanze, dal territorio. Che soffre, è un momento di grande difficoltà per i pazienti che rimangono per lungo tempo a casa fino a quando si aggrava la malattia. Pazienti che devono essere ricoverati in terapia intensiva o in sub intensiva”.
Mentre i volontari e la manodopera specializzata, messa a disposizione anche dall’associazione degli artigiani bergamaschi, lavorano nel cantiere, c’è chi ha pensato a coprire per esempio il pagamento per la fornitura dei gas medicali: l’acquisto è stato coperto dall’Accademia dello Sport per la solidarietà, guidata da Giovanni Licini, che ha raccolto le donazioni. Banca Intesa ha donato 350mila euro e altre fondazioni sono scese in campo. C’è stato poi l’acquisito della Tac, l’organizzazione Cesvi (Cooperazione e sviluppo) penserà alla fornitura di mascherine e guanti. “Si è creato un movimento collettivo senza l’aiuto delle casse pubbliche e soprattutto si è creato senza che ci fosse distinzione di parte e appartenenza. Uno spirito di squadra – dice Rizzini – uno spirito alpino. Le resistenze sono venute ed è arrivata una marea di disponibilità da parte di tutti forse perché negli anni abbiamo dimostrato di essere estremamente seri”. L’ospedale costerà tra i 3 e i 4 milioni di euro.
Certo la sfida toglie il fiato, la preoccupazione non manca, c’è un’epidemia “anche per noi uno scenario nuovo, anche se siamo abituati alle calamità. Ci sono procedure, approcci e anche la gestione logistica e medica, diversi”. Paura? “Il coraggio non è il non aver paura è nell’affrontare la paura” dice l’alpino. Per questo si è pensato anche a creare nuclei di psicologi e psichiatri da utilizzare in ospedale per volontari e i cittadini: “Non avere più certezza sul futuro svuota, oltre al dramma di migliaia di morti. L’ospedale è una grande speranza”.