“Dobbiamo prepararci ad una guerra che sarà lunga. Adesso l’adrenalina ci fa fare cose impensabili, che non avremmo mai immaginato di poter fare. Ma dobbiamo riservare delle energie anche per il momento in cui finiremo le forze”. Guido Chichino, classe 1958, dirige il reparto di Infettivologia dell’ospedale “Santi Antonio Biagio e Cesare Arrigo” di Alessandria, sul fronte occidentale della “guerra al Covid-19”. Dall’inizio della pandemia, ci sono stati novantadue morti in tutta la provincia. Fino a un paio di giorni fa una cifra superiore a quella registrata a Torino. “La situazione è pesantissima – spiega prima di iniziare il turno nell’ospedale che ospita oltre cento pazienti affetti da Covid-19 – siamo l’area più più colpita di tutto il Piemonte”.

Dottor Chichino, come mai?
Ci sono diversi fattori che hanno influito. Innanzitutto la vicinanza con le zone calde lombarde ed emiliane. Fin da subito abbiamo registrato numerosi contatti stretti di questo territorio con la zona di Codogno. Il fatto è che quando l’infezione entra in alcuni gangli sociali fa disastri. Nella zona di Tortona sono stati colpiti tutti i centri dove si giocava molto a carte, nei circoli. E poi abbiamo avuto l’episodio della sala da ballo di Sale dove la serata di San Valentino molto frequentata potrebbe essere stata la causa di uno dei focolai dell’infezione.

Quando è iniziato ad aumentare il numero dei contagi?
Nelle settimane successive all’evento che si è tenuto a metà febbraio nella sala da ballo. Abbiamo iniziato a riscontrare che quello era il fattore che accomunava diversi pazienti. Da lì in poi la prima domanda che facevamo è cambiata: non chiedevamo più se era stato in Cina o a Codogno, ma se era stato a ballare.

Rispetto alla Lombardia qual è la situazione nella vostra provincia?
Abbiamo registrato situazioni speculari a quelle degli epicentri lombardi, ma con un ritardo di dieci-quindici giorni. Un ritardo causato da una sottovalutazione, da un punto di vista epidemiologico, soprattutto tra i medici di base, che poi sono stati colpiti in gran parte.

Che cosa intende con “sottovalutazione epidemiologica”?
Queste persone che presentavano una sintomatologia suggestiva, con il senno di poi per infezione da Covid-19, non avevano avuto nessun contatto con cinesi o con persone da Codogno. Così sono arrivate all’osservazione dei medici di base le seconde generazioni dell’infezione, o probabilmente anche degli asintomatici che hanno diffuso l’infezione.

Qual è la caratteristica di questo coronavirus?
Il Covid-19 è “democratico”. Colpisce tutti, non importa la classe sociale a cui si appartiene. È vero che l’età media dei decessi supera gli ottant’anni, ma quella dei contagiati si è abbassata dall’inizio della pandemia e oggi si attesta intorno ai sessant’anni.

Come affrontano la malattia i pazienti?
L’elemento che accomuna tutti è la solitudine perché si può stare vicino ai propri cari. La differenza più grande si riscontra tra gli anziani dei paesi e i più giovani delle città. Quelli di una certa età sono molto più fatalisti e non sono sconvolti dall’evento. Pochi giorni fa, uno di loro, prima di morire, ha salutato i suoi figli al telefono di quello che gli sarebbe successo con grande serenità. È stato un grande insegnamento per tutti.

Avete a disposizione abbastanza letti e dispositivi di protezione per tutti?
Le protezioni ci sono e al momento tutti i pazienti hanno a disposizione un letto. Il problema è che se in tanti avranno bisogno di un’assistenza respiratoria, nella nostra zona ci stiamo avvicinando alla saturazione. Abbiamo avuto diversi trasferimenti nelle rianimazioni delle aree vicine. Ma adesso questo non è più possibile perché iniziano ad aumentare i casi anche altrove e dunque bisogna far fronte con risorse interne.

Come fate a reggere il ritmo?
Cerco di dare ai miei collaboratori orari di riposo. Meglio avere persona al lavoro riposata per quanto si può. Se avessimo la certezza che in quindici giorni l’avventura finisce allora si potrebbe dare il massimo tutto subito per raggiungere la meta, ma temo che qui la cosa sarà lunga e che sia necessario risparmiare le forze per il futuro.

Qual è la difficoltà più grande di questo momento per voi?
II problema è che continuiamo a dover gestire anche le altre patologie. È vero che il numero dei traumi si è ridotto perché la gente si sposta di meno, ma gli interventi di chirurgia cardiovascolare continuano perché le rotture di aneurisma aortico ci sono sempre. La cosa più difficile è quella di mantenere in uno stesso ospedale i percorsi di pazienti sicuramente Covid da quelli non Covid oltre alla zona grigia di pazienti sospetti.

In Piemonte, i contagi crescono a ritmo di oltre cinquecento al giorno. Sono numeri gestibili?
No, a breve non saranno più gestibili. Le misure adottate, seppur tardivamente, dal governo servono solo a far abbassare la pancia della curva del contagio, ma sull’area sottesa non si riuscirà ad incidere molto, credo. L’obiettivo è far sì che il picco della curva non sia così alto da esaurire tutte le capacità di risposta del servizio sanitario.

Che cosa la preoccupa di più?
Il problema di questa pandemia è che si vedranno solamente in un secondo momento i danni economici. Oggi come oggi, l’impegno è tutto sanitario. Poi arriverà quello economico. Il problema è che il mondo sanitario dovrà sommare i danni economici che avranno tutti con lo stress e l’impegno lavorativo che stiamo vivendo adesso. Temo che avremo una ricaduta pesante sul mondo sanitario in futuro.

Come ne usciremo?
Se non intervengono fattori farmacologici importanti sarà inevitabile che un virus del genere contagi quasi tutti.

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