di Diego Battistessa*
In queste settimane in Italia si è viralizzato l’hashtag #iorestoacasa. Un messaggio che promuove un sentimento di responsabilità civica e solidarietà nazionale in appoggio del titanico sforzo che vede impegnate le istituzioni del nostro paese e la sanità pubblica in prima linea, contro il dilagare del contagio da Covid19.
La quarantena in casa risulta essere nella maggior parte dei casi una grande limitazione delle nostre libertà individuali, delle nostre possibilità di godere di quelle attività che riempiono le nostre vite di significato. È un atto di umanità e di coscienza: è però in termini relativi un privilegio che molti non avranno. In America Latina milioni di persone non potranno permettersi di restare a casa.
La quarantena in casa, nonostante le limitazioni prodotte, non cessa di essere un privilegio che separa la popolazione mondiale in due gruppi di persone molto diverse da loro. Chi se lo può permettere e chi no. Il significato di casa e di ciò che in essa è contenuto, in termini di servizi e di comodità, non è universale. Ora che il coronavirus ha iniziato la sua mortifera marcia in regioni del mondo con un livello di tenore di vita decisamente inferiore a quello per esempio di Italia e Spagna, poter dire #iorestoacasa è una “cosa da ricchi”.
Pensate di vivere in un Paese sottoposto a continui blackout e di dovervi trovare durante interminabili ore senza poter utilizzare nulla di ciò che funziona con elettricità. Non stiamo parlando solo di Internet, Tv e altri device che allietano i nostri momenti di ozio: parliamo di frigorifero, congelatore, microonde o aria condizionata. Non sarebbe possibile fare scorte di cibo, passare il tempo con lezioni online o guardandosi le serie offerte dai diversi colossi audiovisuali.
Nei paesi caraibici ad esempio le temperature elevate rendono l’aria condizionata un elemento di prima necessità: pensate cosa significhi non poterla usare per giorni. Immaginiamoci però anche lo scenario opposto. Cioè di non poter premere un bottone per riscaldare l’appartamento, ma di dover uscire quotidianamente a procurarci della legna per accendere un fuoco o la stufa. Questo succede ad esempio sulle Ande, dove le notti, senza riscaldamento, possono essere davvero molto lunghe.
Ci viene spesso chiesto di lavarci le mani di continuo, durante almeno 40 secondi seguendo le istruzioni dell’Oms. Ma che succede in quelle case delle aree rurali in America Latina dove l’acqua corrente in casa non c’è? Dove i bagni non sono nelle case ma all’aperto, dove l’unica cosa che si ha non è altro che un tetto sotto il quale dormire, una brandina e una piccola cucina che funziona con una bombola di gas.
E poi il lavoro… Il presidente de El Salvador, Nayib Bukele, è stato il primo politico in America Latina a dichiarare la quarantena nazionale. Ha proibito di uscire in strada, ha chiesto di restare a casa. Molti però non hanno rispettato la nuova imposizione e tra la loro scopriamo molte persone anziane che, non potendo contare su un sistema di pensioni, si vedono costrette a lavorare quotidianamente per guadagnarsi da vivere. Nelle strade della capitale, San Salvador, non è difficile vedere minute donne, i cui visi sono solcati da spesse rughe, cercare di vendere delle mercanzie per garantirsi il pranzo. Loro non possono godere del privilegio di rimanere a casa.
Non ci saranno cassa integrazione e mobilità, non ci sarà smart working: in sistemi economici che vivono sull’informalità, le garanzie lavorative in molti casi sono praticamente nulle. In una regione così vasta e diversa, come quella latinoamericana, gli scenari saranno molto diversi tra loro ma in ogni contesto nazionale saranno molte, troppe le persone che perderanno tutto o quasi.
Diversa sarà anche la capacità di risposta del comparto sanitario nazionale di fronte alla propagazione del Covid19. Se da un lato è certo che alcuni paesi dell’America Latina possiedono un margine di capacità di risposta sanitaria relativamente alto (numeri di letti in ospedale ogni 10.000 persone) come ad esempio Barbados, Cuba e Argentina, dall’altro lato la situazione appare allarmante. Paesi come Honduras, Haiti, Guatemala, Nicaragua e Venezuela hanno una capacità di risposta sanitaria ridotta al minimo.
In questi scenari, la grave situazione socioeconomica alimenta quello che il New York Times chiama un circolo vizioso tra incidenza del coronavirus e disuguaglianza. Insomma, i più poveri saranno i più colpiti dal Covid19. Se ci trovassimo nella situazione opposta e noi, i più giovani, fossimo quelli vulnerabili, i nostri nonni e i nostri genitori non esiterebbero un secondo nel fare ciò che venisse chiesto loro, per prevenirci da ogni male… Noi che possiamo, restiamo a casa.
*Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni. www.diegobattistessa.com
Mail: dbattist@inst.uc3m.es)
Instagram: Diegobattistessa