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Coronavirus, le baraccopoli romane sono bombe a orologeria. Serve un intervento straordinario

La diffusione del contagio in Africa è una delle complicazioni della pandemia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità teme di più per diverse ragioni: per via della fragilità dei sistemi sanitari africani; perché l’Africa è un continente con molte zone urbane ad alta densità, dove sarà difficile far rispettare misure come l’isolamento e il mantenimento delle distanze di sicurezza; perché l’Africa è caratterizzata da contesti urbani dove le condizioni igienico-sanitarie risultano spesso inadeguate.

In una sorta di equazione, il timore che l’Oms nutre a livello globale rispetto al continente africano dovrebbe essere lo stesso che il Comune di Roma dovrebbe avere nei confronti delle baraccopoli presenti sul suo territorio dove le problematiche che si presentano appaiono molto simili. E invece si assiste all’ennesima, totale dimenticanza.

Sovraffollamento sia interno alle unità abitative (abbiamo casi dove nuclei familiari di 6-7 persone devono condividere i 21 mq di un container malmesso) che esterno (alcuni insediamenti sono stati progettati per contenere la metà delle persone attualmente residenti); mancanza o carenza di servizi essenziali come l’acqua; assenza di informazioni relative alla prevenzione e di dispositivi di protezione individuale; impianti fognari non funzionanti e cumuli di rifiuti non raccolti; lontananza dai servizi sanitari di base. Questo è il quadro di una delle numerose baraccopoli che insistono nelle periferie romane.

Se poi aggiungiamo l’impossibilità, stabilita dal decreto governativo, di uscire per svolgere lavori informali volti a garantire la sussistenza giornaliera, lo sfibramento della rete di solidarietà interna agli insediamenti per la paura del contagio e il dramma di anziani soli e bambini inghiottiti dalle ansie e le paure dei genitori, ecco che ci troviamo davanti a un quadro drammatico dove presto potremmo assistere ad episodi di autolesionismo o alla scena di padri e madri di famiglia che, in assenza di qualsiasi risorsa, usciranno dalle loro abitazioni nella ricerca disperata di cibo per sfamare i propri figli.

Davanti all’emergenza del Covid-19, le baraccopoli romane sono delle bombe ad orologeria pronte a far saltare la Capitale. Dove potrebbe scatenarsi la disperazione sociale ma anche il contagio.

Questa pandemia potrebbe decretare l’inizio della fine del genere umano o l’occasione per far risorgere un nuovo umanesimo ben tradotto nelle parole di Lucio Anneo Seneca: “La terra è un solo paese. Siamo onde dello stesso mare, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino”. Il virus invisibile ci ricorda che siamo tutti sulla stessa barca, che non ci sono nemici tra noi, che solo uniti potremmo sopravvivere, crescere, elevarci, andare oltre, superare ogni ostacolo, vincere le battaglie come quella che stiamo affrontando in maniera globale.

Per le baraccopoli romane serve un intervento straordinario che aiuti a superarle in via definitiva. Forse è giunto proprio questo giorno. E questo è possibile seguendo le disposizioni degli ultimi decreti che consentono di requisire immobili inutilizzati o accedendo alle ingenti risorse impiegate per rispondere all’emergenza virale.

Se non vogliamo farlo perché le parole di Seneca ci convincono poco, compiamo questo passo almeno per rafforzare il nostro interesse individuale e collettivo e a tutela della salute nostra e dei nostri figli. Altrimenti, prepariamoci al peggio.