Quando il consigliere scientifico del premier britannico Boris Johnson parlò della necessità di far contagiare il 60% della popolazione per creare l’immunità di gregge gli immunologi di mezzo mondo insorsero. Del resto il discorso dell’inquilino di Downing Street sull’abituarsi a perdere i propri cari aveva sconvolto molti, tranne gli inglesi. Ora questa possibilità, ovvero che Sars Cov2 potrebbe aver già infettato metà della popolazione britannica, viene riconosciuta dall’Università di Oxford. Ma non solo un contagiato ogni mille avrebbe sviluppato sintomi virali, con una stragrande maggioranza (forse) fin d’ora auto-immune. L’ipotesi scientifica, rilanciata dal prestigioso ateneo fa discutere nel Regno Unito: perché – se confermata empiricamente – metterebbe in dubbio la strategia globale basata sul lockdown, cui Johnson si è allineato obtorto collo, o quanto meno ne suggerirebbe una durata limitata; riproponendo invece la controversa teoria dell’immunità di gregge, ossia la diffusione diluita del virus nella popolazione come condizione per favorire l’insorgere di anticorpi di massa necessari a frenare la pandemia.

Il modello presentato dal gruppo di ricerca di Evolutionary Ecology of Infectious Disease si basa sui dati (contagi e morti) raccolti nel Regno Unito e Italia. Il coronavirus sarebbe arrivato sull’isola a metà gennaio, circa un mese prima che venisse registrato ufficialmente il primo contagio. Lo studio viene ripreso con una certa apertura di credito dal Financial Times, giornale di rifermento della City. E presenta un’analisi della pandemia molto differente da quella suggerita dagli scienziati dell’Imperial College London, secondo cui – senza l’introduzione di immediate e drastiche misure restrittive – il Regno sarebbe andato incontro ad un’ecatombe con più di 250mila morti. Vale a dire dal grido d’allarme che ha convinto alla fine Johnson – dopo gli iniziali tentennamenti – a imporre graduali restrizioni alla vita sociale. Fino al lockdown generale. “Sono rimasta sorpresa dall’accettazione incondizionata del modello dell’Imperial College – ha detto al Ft Sunetra Gupta, docente di Epidemiologia teoretica a Oxford -. Abbiamo subito bisogno di cominciare un’indagine semiologia sul larga scala tramite test per gli anticorpi per stabile a che punto sia l’epidemia“. La docente ha annunciato ieri lo studio su Twitter che dovrebbe essere pubblicato su Medrxiv, piattaforma che pubblica studi prima che siano revisionati.

A differenza di altri esperti, Gupta – che conta molto sui test di nuova generazione sugli anticorpi, appena messi a punto oltremanica, per verificare la sua ipotesi – insiste a ritenere verosimile che il Regno abbia già sviluppato un sufficiente livello anti-Covid-19 su scala nazionale da consentire la sostanziale riduzione dei tempi di quarantena. Per corroborare questa tesi, il gruppo di Oxford, in collaborazione con le altrettanto prestigiose università di Cambridge e Kent, spera di poter cominciare i primi esami già entro la fine di questa settimana, presentando i risultati preliminari in pochi giorni. Proprio ieri il ministro della Salute, Matt Hancock, ha del resto annunciato l’arrivo di 3,5 milioni di kit di test sugli anticorpi, che verranno eseguiti in primis su medici e infermieri in trincea contro il Covid-19.

Lo studio dell’Imperial College

Lo studio di Oxford

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Successivo

Coronavirus, l’ossigenoterapia a domicilio per aiutare i pazienti dopo la fase acuta. “I broncopneumopaticisono ancora più a rischio”

next