Prima di tutto rispondere all’emergenza sanitaria. Poi intervenire per frenare una crisi economica e sociale che è “la peggiore dal Dopoguerra” come ha spiegato il premier Giuseppe Conte. Ma come potrà l’Italia reperire nuove risorse senza indebitarsi ancora e finire nel mirino delle agenzie di rating? La risposta potrebbe venire dai Solidarity bond o Coronabond, emissioni europee finalizzate a reperire nuove risorse per rilanciare l’economia dell’Italia e dell’Unione. Fra i primi a sostenere questa soluzione, l’economista Federico Carli, presidente dell’associazione di politica economica “Guido Carli”. A patto che siano nell’ottica di una “ricostruzione” del progetto europeo e non vadano ad “appesantire” i bilanci dei singoli Stati con un conto salato per le generazioni future. E soprattutto non abbiano nulla a che spartire con il Mes, una “negoziazione tecnica” che può essere rimandata a tempi “di pace”.
Ma di che cosa si tratta esattamente? Interpellato dal fattoquotidiano.it, l’economista spiega che “i solidarity-bond costituiscono uno strumento tecnico che ha l’obiettivo di perseguire una finalità politica: rilanciare un’Europa carente e ingessata, che, di fronte alla crisi del coronavirus, ha manifestato tutti i suoi limiti e rischia la disgregazione”. Hanno cioè, in sostanza la missione di “far affluire risorse all’economia reale, segnatamente agli investimenti di cui c’è evidente bisogno e rivitalizzare su nuove basi il disegno europeo” come spiega l’esperto. “Potrebbero essere emessi attraverso la Banca europea degli investimenti o attraverso altri canali per consentire il finanziamento di indispensabili piani d’investimento senza gravare sul debito italiano – precisa -. Del resto, sottoporre le spese in conto capitale alle stesse restrittive regole di bilancio in vigore per la spesa corrente è un errore macroscopico”.
Secondo l’economista, è infatti “giunta l’ora di distinguere tra consumi e investimenti e liberare questi ultimi dai vincoli finanziari stabiliti in sede europea. E’ stato in via definitiva chiarito che, per effetto del moltiplicatore, il risparmio necessario a finanziare gli investimenti esiste: esiste dopo, non necessariamente prima che gli investimenti siano effettuati. Dobbiamo dunque recuperare visione e coraggio e trasformare questa difficilissima prova in un’occasione per ridare vitalità alla costruzione comunitaria, ponendo nuovamente il progresso e il benessere dei popoli del Continente davanti a ogni altra considerazione”. I solidarity-bond dovranno insomma essere obbligazioni europee di scopo, che, secondo l’economista, dovranno essere accompagnare dall’introduzione della golden rule, cioè lo scorporo delle spese in conto capitale dal computo delle spese sottoposte ai parametri europei.
I solidarity bond non hanno quindi nulla a che vedere con il Meccanismo europeo di stabilità che non può e non deve essere uno strumento comune che penalizza alcuni Paesi dell’Unione. “Se i paesi nordeuropei stanno pensando di imporre ai partner mediterranei il peso di un salvifico percorso di redenzione morale che passi per un ulteriore abbassamento dei livelli di reddito e di ricchezza dei cittadini italiani la stabilità dell’intero edificio europeo è davvero a rischio”, aggiunge. “Peraltro, probabilmente, questo non è il momento più opportuno per spingere avanti negoziazioni tecniche su meccanismi che suscitano la preoccupazione di larghi strati dell’opinione pubblica di diversi paesi”. Secondo Carli “non c’è bisogno di forzare la mano sul Mes in questo momento”.
L’economista dopo aver sottolineato come “lo stato di sofferenza in cui versa il Paese sia frutto di una mediocre conduzione della cosa pubblica da parte dei nostri ceti dirigenti, che hanno trascurato di investire in settori strategici e addirittura vitali”, ricorda che in aprile si dovrà varare un nuovo pacchetto di provvedimenti indispensabili a garantire la sopravvivenza economica di imprese, lavoratori e famiglie. Per Carli, dovranno “essere interventi incisivi e coraggiosi e, data la situazione di emergenza e di urgenza, ritengo possano essere effettuati in deroga alle regole di bilancio di Bruxelles”. Inoltre, le nuove misure dovranno agire su due fronti: da un lato attenuare la recessione che si profila all’orizzonte, dall’altro rilanciare produzione e domanda dopo l’inevitabile caduta dei prossimi mesi.
Sarà quindi fondamentale varare “piani pluriennali di investimenti in infrastrutture a tutela della salute, dell’ambiente, del territorio, dell’istruzione, per l’adeguamento tecnologico-digitale e delle grandi reti infrastrutturali (materiali e immateriali), compiendo pienamente lo spirito dei Trattati europei” precisa. Inoltre, secondo l’economista, sarà essenziale concentrarsi sulle “reti immateriali e la digitalizzazione, perché rappresentano uno strumento per elevare l’efficienza della nostra pubblica amministrazione che non è considerata propriamente dai nostri concittadini un fiore all’occhiello di cui farsi vanto, e la cui inefficienza ha rappresentato un elemento che ha contribuito a sfibrare il nostro tessuto sociale”. Secondo l’economista, se la classe politica fallirà nella gestione della crisi il problema non saranno tanto le agenzie di rating, quanto piuttosto “gli effetti sulle imprese, sui lavoratori, sui liberi professionisti, sulle famiglie”. Anche perché “negli ultimi trent’anni abbiamo trasformato l’equilibrio di bilancio in un obiettivo a cui sacrificare la prosperità, la ricchezza e il reddito della Nazione – continua l’esperto – in realtà la stabilità finanziaria è uno strumento per raggiungere maggiore prosperità, maggiore ricchezza, maggiore reddito. La finanza pubblica italiana non era lontana dall’equilibrio: prima dell’emergenza sanitaria il nostro disavanzo era attorno al 2% del pil al netto del ciclo, circa 35 miliardi. In tempi straordinari, ci allontaneremo dall’equilibrio: è ovvio. Non è questo il problema. Il problema è evitare il collasso del sistema produttivo del Paese e la lacerazione del tessuto sociale”.
Finora però la classe dirigente non ha dato buona prova di sé. Secondo Carli, “la dissennatezza trentennale dei ceti dirigenti italiani, e non mi riferisco solo né tanto alla gestione della finanza pubblica, bensì alla gestione complessiva di un Paese che è stato sospinto inesorabilmente verso la decadenza, è all’origine dello sfaldamento della società italiana. All’inadeguatezza dei nostri ceti dirigenti e ai “comportamenti indegni” (prendo in prestito le parole utilizzate oltre 10 anni fa da Marcello de Cecco) che essi hanno assunto negli ultimi trent’anni, dobbiamo aggiungere lo scadimento dei leader politici europei e la profonda crisi dell’Unione Europea ormai ridotta a un elefantiaco apparato burocratico, distante dai cittadini, incapace di interpretarne e orientarne le aspirazioni, che ha da tempo abbandonato i principi di solidarietà e cooperazione su cui essa era stata fondata”.
Il quadro insomma è a tinte fosche. “In questa fase bisogna impedire che dalla crisi scaturisca un ulteriore allargamento dei divari tra gruppi di cittadini, perché, qualora il costo di questa crisi gravasse sulle spalle delle fasce più deboli della popolazione, qualora aumentassero squilibri e disuguaglianze, penso davvero che il tessuto sociale italiano possa lacerarsi irrimediabilmente”, sottolinea l’economista che suggerisce di valutare con attenzione la proposta del reddito di quarantena (751 euro di “stipendio” per tutti, pubblici e privati, pensionati e lavoratori, ndr), idea dall’economista della Bocconi, Gianmario Cinelli, e dal vicepresidente della banca d’investimenti Equita, Antonio Costagliola. “Credo che questa proposta debba eventualmente essere declinata allo scopo di prevenire una nuova divaricazione tra classi di cittadini, anche perché è possibile che nelle prossime settimane si manifesti un problema che sembrava dimenticato in Europa e di cui nessuno parla oggi: l’inflazione – conclude -. In alternativa si dovranno studiare provvedimenti che proteggano il potere d’acquisto dei lavoratori, dei liberi professionisti, dei piccoli imprenditori maggiormente esposti alla crisi, tali da evitare l’esplosione del conflitto sociale” creando benessere per i popoli. Del resto è questo il compito della politica e dell’Europa e, come ricorda Carli, era anche l’aspirazione di chi ha messo le basi dell’Unione.