Circa venti anni or sono avevo in cura un paziente dializzato. Vista la sua patologia non poteva bere acqua, come avrebbe desiderato, ma doveva fortemente limitarne l’assunzione. Mi raccontò che, quasi ogni giorno, andava a sedersi davanti a una fontana che zampillava. Lo calmava assistere allo scorrere di questo bene prezioso che gli era inibito.
Dopo una ventina di giorni di isolamento in casa sento al telefono i miei pazienti e le loro reazioni assomigliano molto a quelle del signore dializzato. Ora, quelle piccole abitudini che parevano normali mancano in modo quasi viscerale. Manca l’idea di andare al bar a bere un caffè, facendo due chiacchiere ravvicinate. Manca il capannello, la camminata in compagnia. Cose piccole che, nel tempo, stanno divenendo grandi, forse enormi. In ultima analisi, manca il senso di libertà. Inoltre incombe su ognuno di noi la paura del futuro. Nulla sarà più come prima?
Nella fase iniziale della quarantena abbiamo dato fondo all’adrenalina e alla capacità di adattamento. Nella curva dello stress sono descritte tre fasi: fase d’allarme, fase di resistenza e fase di esaurimento. Mi pare che dopo la fase d’allarme in cui abbiamo dovuto accettare, con qualche tentativo di fuga, la realtà di una patologia subdola e molto problematica da affrontare, siamo giunti nella fase di resistenza. Temo sia relativamente vicino il momento dell’esaurimento, in cui non ce la faremo a reggere. Spero possa coincidere con il calo dell’infezione.
In quella fase molti di noi, non riuscendo più a fare fronte emotivamente alla situazione, reagiranno in tre possibili modi:
1. La somatizzazione; si tratta di una modalità di esprimere l’ansia attraverso il corpo. Ognuno di noi ha un organo bersaglio. Quando sta male gli viene ad esempio mal di pancia oppure una vertigine, mal di testa, stanchezza, dermatiti, tachicardia, senso di soffocamento.
2. L’ansia e la depressione; si tratta di vissuti emotivi in cui il cervello sembra” imballato” in pensieri ed emozioni che si rincorrono e non riusciamo a scacciare. Tutto diviene difficile, impossibile da affrontare e non vediamo vie d’uscita. L’umore è nero, affiorano idee di suicidio.
3. Il comportamento deviante; si tratta della terza modalità di reazione allo stress che sfoga all’esterno il malessere. Potrà capitare di avere accessi d’ira, bere smodatamente, drogarsi, aggredire verbalmente o fisicamente gli altri, rifugiarsi nel gioco patologico.
Non voglio fare previsioni troppo fosche in questo momento in cui ci sono già notizie spiacevoli, ma vorrei lanciare un messaggio chiaro: occorre pensarci ora! Non possiamo attendere, perché pressati da altri problemi, per ritrovarci in grande difficoltà, fra alcuni mesi.
La sensazione di correre dietro ai problemi deve essere cambiata, nella consapevolezza che prevenirli è possibile e importante. Ci sono varie possibilità di intervento preventivo, non particolarmente costose: messe in atto nei tempi giusti, possono ridurre le tante probabili sofferenze.
Se, al contrario, si attenderà troppo ci troveremo a gestire un’emergenza molto costosa sul piano umano, ma anche economico in termini di assenze dal lavoro per malattia, uso di psicofarmaci e abuso di esami medici.
Vorrei che nei talk show, accanto ai virologi che impazzano ma che, purtroppo, non possono aggiungere molto a quello che hanno detto il giorno prima, fosse presente qualcuno che parla del futuro e delle necessarie strategie per affrontarlo, prevenendo i principali problemi che inevitabilmente emergeranno.