Dal nord al sud i casi si motliplicano, ognuno fa storia a sè ma tutti si assomigliano. Le strutture lombarde scrivono a Fontana: "Fateci fare il tampone". La lettera della Cgil: "Non c'è più tempo, sbrigatevi"
Mediglia nel milanese con i suoi 60 morti covid in casa di riposo e Villafrati a Palermo con oltre 70 positivi tra ospiti e operatori, condividono il triste primato di avere il focolaio di Coronavirus concentrato nelle rispettive case di riposo per anziani. Ma non sono casi isolati. Tra la Sicilia e la Lombardia e anche oltre in Trentino, a Pergine Valsugana (119 i positivi nella cittadina dove il contagio è partito in una casa di riposo), i casi di Rsa focolaio sono tantissimi. Vedi per esempio Bogliasco, località sul mare alle porte di Genova dove i primi casi Covid sono stati in una residenza per anziani, ma a parte 1 caso, non è ancora chiaro quanti degli ultimi decessi avvenuti nella struttura siano attribuibili al virus. Anche se in paese si è scatenato il panico. Per tacere delle zone calde lombarde dove, in parallelo a quelle in ospedale, nelle Rsa si sono consumate delle vere e proprie stragi silenziose, come le chiamano, perché quando sono venute a galla era troppo tardi. Come accaduto a Brescia dove la settimana scorsa sono morti 20 ospiti in pochi giorni.
Chi quindi sta ancora bene o può gestire la situazione, vuole a tutti i costi un cambio di prospettiva e di passo con la massima rapidità ed efficacia, per mettere al riparo le residenze per anziani – 7mila strutture in Italia, per un totale che supera i 300mila ospiti – prima che sia troppo tardi. A chiederlo sono innanzitutto i sindacati, con il segretario Fp Cgil, Michele Vannini, che parla di “bombe biologiche”, punta il dito contro l’eterogeneità delle misure prese dalle singole Regioni e suggerisce di separare anziani sani da anziani contagiati. Ma lo chiedono anche i gestori delle strutture che vorrebbero maggiore attenzione e supporto dalle autorità.
Non solo per questioni sindacali, di business o di pietas, ma anche di buon senso: se nella battaglia contro il Covid-19 il punto debole della nostra società sono gli anziani, quelli trascurati rischiano di essere la miccia di un incendio su vastissima scala. Sono quindi i primi a dover essere tutelati. E con loro le persone che li accudiscono tutti i giorni e che alla sera tornano nelle loro famiglie. Magari utilizzando i mezzi pubblici.
Il focolaio emerso tardi per il furto in laboratorio – La situazione è ormai sotto gli occhi di tutti, tanto che nei giorni scorsi si è mosso anche l’Istituto superiore di sanità che ha aperto un’indagine sui contagi e i decessi nelle Rsa italiane. Il caso è talmente incandescente che nelle Marche, a supporto di ospiti e personale di diverse strutture per anziani, è scesa in campo direttamente Medici senza frontiere. In Sicilia, nella casa di riposo Villa delle Palme di Villafrati (Palermo) nei giorni scorsi – con grande ritardo a causa di ben 4 tentati furti con scasso al Policlinico dove erano in corso le analisi dei tamponi – c’è stata la scoperta di 50 anziani e 22 dipendenti positivi al Covid-19.
La struttura è stata dichiarata zona rossa e da sabato nessuno entra e nessuno esce, con tanto di famiglie divise. E intanto dalle strutture dei dintorni è tutta una pioggia di disperate richieste di dispositivi di protezione individuale, come sottolinea Michele Morello della Fp Cgil: “Ho centinaia di chiamate, nessuno ha avuto dispositivi dalla Regione. Qualcuno arriva a lavare più pazienti con gli stessi guanti. Gli operatori sono disposti a lavorare anche con il sacrificio personale, ma devono essere protetti”.
“20 casi Covid: hai rispettato i protocolli?” – Non va meglio a Bologna, dove alla fine della scorsa settimana è letteralmente esploso il caso di una struttura convenzionata, la Sant’Anna e Santa Caterina di via Pizzardi, in cui una ventina di persone, tra infermieri, operatori e ospiti hanno manifestato sintomi del virus, tanto che sono seguiti dei ricoveri ospedalieri. Alla denuncia del sindacato ad Ausl, sindaco, prefetto ed ispettorato del lavoro sul “ritardo con cui la struttura si è adeguata alle prescrizioni legate all’emergenza sanitaria e alla mancata comunicazione di quanto stesse accadendo”, il presidente Gianluigi Pirazzoli il 22 marzo aveva replicato dichiarando che “non esistono focolai di nessun genere all’interno dell’istituto”.
Peccato che quando i tamponi hanno dato risposta, siano venuti fuori 5 ospiti positivi (tre sono mancati a breve distanza) e 12 operatori. “Come fai ad avere 20 casi Covid se hai rispettato tutte le misure prescritte”, si chiede Simone Raffaelli della Fp Cgil di Bologna?
Le strutture lombarde: “Fateci il tampone” – Nell’ormai desolata Lombardia, dove agli operatori è richiesta un’autodichiarazione di buona salute sotto la responsabilità del dichiarante poi, la situazione è a dir poco drammatica. I casi nella bergamasca e nel bresciano sono talmente tanti che contarli è molto difficile e gli operatori mormorano che la Asl non risponde neanche più. Non a caso è in questa Regione che mercoledì 25 marzo titolari di strutture in proprio e tramite associazioni di categoria come Agespi (Associazione Gestori Servizi sociosanitari e cure Post Intensive), hanno formalmente chiesto all’ente di Attilio Fontana e alle singole Ats, che vengano fatti i tamponi anche a chi lavora e a chi vive nelle Rsa, quindi tutti gli ospiti e tutti gli operatori.
Le conseguenze di una risposta negativa rischiano di essere molto pesanti. Da una parziale indagine della Fp Cgil sul 40% delle strutture lombarde, risultano almeno 200 Rsa con casi Covid-19. Tra queste è emblematica Mediglia (Lodi), dove la maggior parte dei contagiati dal virus si trovava in una residenza per anziani, la Rsa Borromea di Mombretto, in cui sono stati dichiarati 54 morti per il virus, anche se secondo i parenti sarebbero di più, tanto che parlano di “strage silenziosa” denunciando le omissioni che hanno nascosto quello che stava succedendo fino a quando non è stato troppo tardi.
Disinnescare le bombe – La questione non è solo morale o di rottura del rapporto fiduciario: la mancanza di trasparenza genera inevitabilmente una catena di errori e di ulteriori contagi. Ingredienti che, quando incontrano gli effetti della sottovalutazione del problema da parte delle autorità e la drammatica carenza dei dispositivi di protezione, danno vita a delle bombe atomiche. Che invece andrebbero disinnescate.
“Nell’affrontare un’epidemia, le attività di prevenzione possono svolgere un ruolo decisivo per evitare nuovi contagi e frenare la diffusione del virus, soprattutto tra le persone più a rischio”, spiega Tommaso Fabbri di Msf nella nota in cui la ong ha annunciato l’avvio dell’attività nelle Marche. La questione non è secondaria: la maggior parte del personale delle strutture non è sanitario e necessita di formazione, oltre che di dispositivi.
La lettera: “Non c’è più tempo” – “Abbiamo amaramente appreso dall’esperienza cosa stia significando arrivare impreparati alla lotta al virus nelle corsie e nei pronto soccorsi; non possiamo essere così impreparati anche fuori dagli ospedali, nelle case di riposo e nelle RSA”, si legge in una lettera inviata il 25 marzo al ministro delle Politiche Sociali, al presidente della Conferenza delle Regioni e al presidente dell’Anci da Cgil, Cgil Funzione Pubblica e Cgil Sindacato Pensionati. In cui si sottolinea come “le case di riposo e le Rsa potrebbero rappresentare un argine alla diffusione del contagio e contribuire quindi a non sovraccaricare le strutture ospedaliere già in grave affanno”. Il senso non è quello di mandare pazienti covid nelle Rsa, bensì di evitare che i pazienti delle strutture che sono il principale target del virus, affollino gli ospedali.
“Chiediamo di non perdere tempo, di fare presto, di dotare la rete che fa assistenza nei centri residenziali e domiciliari fin da subito – a partire dalle zone in maggiore difficoltà – di idonei dispositivi di protezione e strumenti adeguati affinchè si possa evitare il contagio degli operatori che lavorano, oggettivamente, in condizioni precarie”, scrivono ancora i sindacalisti. Non solo. “È necessario estendere al massimo l’utilizo dei tamponi anche a queste strutture al fine di isolare i focolai”. E ancora, oltre alle chiusure all’esterno, vengono richieste “misure organizzative straordinarie che consentano di produrre una separazione reale e concreta tra ospiti colpiti dal virus e no”.
Per esempio attraverso l’utilizzo di strutture alberghiere requisite, “potenziando contestualmente la presenza di personale sanitario e prevedendo – in analogia con quanto accade nelle strutture sanitarie – accessi e percorsi separati e team di operatori dedicati”. Le azioni messe in campo fino ad oggi, secondo i sindacati, “non sono affatto sufficienti per affrontare questo grado di emergenza e gli scenari futuri. È necessario agire con la massima celerità e tenendo conto delle indicazioni che vi abbiamo descritto”, concludono i tre segretari Cgil per i quali “ogni esitazione o distrazione in questo settore può condurre ad esiti tragici”.
Operatori che dormoni in auto – Lo sanno bene in Liguria, dove risiede la popolazione più anziana d’Italia e i posti nelle Rsa sono 12mila. Qui lo sguardo si posa preoccupato sul caso lombardo e sulle possibili soluzioni per evitare che prevalga un modello “selettivo” della specie: “è una questione fondamentale di civiltà e di diritti”, sottolinea amaro Diego Seggi, Segretario ligure Fp Cgil responsabile del comparto socioassistenziale educativo privato e sanità privata. Oltre a guanti e mascherine, chiede che anche i pazienti delle Rsa, in caso di contagio, vengano traferiti in strutture isolate a loro dedicate e che pure il personale abbia la possibilità di accedere ad alloggi alternativi alla propria casa. “Ci sono strutture dove alcuni operatori, su base volontaria e in autotutela, da 10 giorni vivono, mangiano e dormono nella Rsa senza tornare a casa – racconta – e altri che per paura di contagiare la famiglia addirittura dormono in macchina”.
La Liguria apre allo screening – Il rischio, “se non si interviene velocemente”, è anche quello di pregiudicare la continuità del personale. Con tutto ciò che ne consegue. “La volontà si scontra con la realtà”, replica a ilfattoquotidiano.it il bergamasco Walter Locatelli, commissario di Alisa, l’Azienda sanitaria ligure, che sottolinea come in questa situazione per una fascia d’età alta, “se ben organizzata, la Rsa è sicuramente meglio del domicilio”. I dpi? “Non ci sono, quelli che c’erano sono stati distribuiti”. La situazione delle Rsa? “Stiamo facendo una mappatura”. Quanto ai tamponi, si è chiusa mercoledì una gara per l’affidamento a dei laboratori privati dell’incarico di effettuare un’indagine sierologica “seria”, mirata ad individuare la presenza di anticorpi del virus e, quindi, a verificare se lo si è già avuto. Dopo gli ospedalieri toccherà alle Rsa che saranno coinvolte. Il via è per lunedì prossimo.