Il Consiglio Superiore della Magistratura ha bocciato gli articoli 123 e 124 del decreto Cura Italia, quelli che si riferiscono alle carceri. Lo ha fatto con un parere non unanime, bensì approvato con la maggioranza di 12 consiglieri, la contrarietà di 7 e l’astensione di 6. Anche chi si è espresso contro il parere, tuttavia, lo ha fatto in maniera critica verso il decreto. Gli interventi che esso introduce sulle carceri vengono insomma attaccati da un lato e dall’altro: la maggioranza del Csm li ritiene troppo poco incisivi, mentre tra i voti contrari a tale pronunciamento c’è quello di chi sostiene che il decreto nasconda addirittura – in linea con quanto affermano alcuni esponenti della politica – un indulto mascherato.
Vediamo dunque di fare chiarezza, perché così è difficile capire la situazione al di là dei pregiudizi. La storia parte da più lontano, vale a dire da quel 13 gennaio 2010 nel quale l’allora premier Silvio Berlusconi dichiarò lo stato di emergenza penitenziaria a causa del sovraffollamento carcerario. La coalizione di centro-destra al governo esprimeva quattro ministri della Lega Nord, tra cui Roberto Maroni all’Interno, e svariati sottosegretari di quello stesso partito che oggi grida all’indulto camuffato. Per far fronte all’emergenza, si introdusse per decreto la possibilità per il magistrato di sorveglianza di far scontare in detenzione domiciliare al condannato l’ultimo anno di pena, elevato poi a un anno e mezzo l’anno successivo. Tale norma la si deve dunque al centro-destra, Lega compresa.
Circa 27.200 detenuti sono a oggi usciti dalle carceri a seguito di tale disposizione. Sono usciti dalle carceri, ma non sono andati per strada liberi di scorrazzare a piacimento: sono andati a chiudersi a casa loro o in altro luogo di dimora certificato (quali le case di accoglienza per i più indigenti), sotto controllo delle forze di polizia.
Ora: cosa fanno i nuovi articoli 123 e 124? Vista l’emergenza coronavirus, rendono più veloce la pratica di concessione di questa forma di detenzione domiciliare. Bisogna sbrigarsi a fare posto in carcere per evitare un massacro sanitario che coinvolgerebbe non solo i detenuti. La vecchia norma prevedeva che il carcere inviasse al magistrato una relazione sulla condotta tenuta dal detenuto. Questa viene abolita. Ma si vieta tuttavia al magistrato di disporre la detenzione domiciliare per chi ha riportato sanzioni disciplinari per alcune violazioni o per chi anche solo si sospetta che abbia partecipato alle rivolte di venti giorni fa. Senza che il carcere perda tempo a scrivere la relazione e il magistrato perda tempo a esaminarla, basterà leggere nel fascicolo del detenuto le sue note disciplinari per decidere. Molto più rapido. Ma chi dice che si è ceduto ai rivoltosi mente, perché l’articolo 123 comma 1 lettera e) è su questo chiarissimo.
Il decreto prevede tuttavia, cosa che la vecchia legge del centro-destra non faceva, che chi va in detenzione domiciliare ci vada con il braccialetto elettronico, a meno che non debba scontare meno di sei mesi. Ecco allora che il Csm ha bocciato la norma come troppo poco incisiva: di braccialetti c’è penuria, questo lo sanno tutti, e se dobbiamo aspettare di averne per poter fare uscire le persone dal carcere allora certo non affronteremo la situazione con i tempi che si convengono a un’emergenza.
È importante che si faccia in fretta, torniamo a ripeterlo: l’ingresso del virus in carcere con i numeri attuali, con i quali non è possibile garantire alcun isolamento, significa la rapida diffusione, la messa a rischio di detenuti e operatori, un enorme peso supplementare e contemporaneo sulla sanità pubblica. Bene ha detto il Csm chiedendo misure più incisive.
Il consigliere Nino Di Matteo critica invece il decreto dal fronte opposto e vota contro il parere della maggioranza. Rispetto alla legge del 2010, dice, sono state eliminate dalla lettera della norma le condizioni ostative del pericolo di fuga e della reiterazione del reato. Vero. Quindi si crea un “automatismo che potrebbe prescindere dalla valutazione del magistrato di sorveglianza”. Falso. Il magistrato è sempre libero di decidere. E può decidere di non concedere la detenzione domiciliare. Aver tolto quella dicitura vaga dalla lettera della norma non ne cambia la sostanza. Non la trasforma in un indulto, che è indiscriminato e vale per tutti quelli che vi ricadono. Quando c’è valutazione del magistrato, non c’è indulto.
Certo: togliere quella frase aiuta una decisione più distesa. Un detenuto tossicodipendente, come sono uno su quattro in carcere, potrà mai non essere teoricamente a rischio di tornare a rubare un portafogli per comprarsi la dose? Ovvio che no. In teoria no. E il magistrato che si attiene alla teoria letterale della norma non lo manderà in detenzione domiciliare. Dove invece, con controlli di polizia e addirittura con il braccialetto elettronico, sarà realisticamente impossibilitato a commettere altri reati.
Voglio inoltre riflettere su un altro dato: fino alla fine di febbraio i detenuti sono cresciuti inesorabilmente. Con l’allarme sanitario, dal primo marzo a ieri sono diminuiti di 2.987 unità. Solo poche decine, come ha raccontato il ministro Bonafede al Parlamento qualche giorno fa, sono usciti per effetto del Cura Italia. A normativa invariata dunque la magistratura, che ha ben compreso la necessità di ridurre l’affollamento penitenziario, non ha avuto problemi a disporre detenzioni domiciliari e altri provvedimenti.
Ma è ancora troppo poco: se almeno 10.000 persone non lasceranno la sezione per la casa (ripeto: chiusi in casa, non liberi), non riusciremo a tutelare la salute di chi è dentro e di chi è fuori. Bisogna al più presto risolvere il tema dei braccialetti elettronici. Ha ragione la maggioranza del Csm a farlo presente con forza.
Gli strumenti normativi ci sono. C’erano anche prima dell’ultimo decreto. Chi grida all’indulto e alla resa dello Stato ai rivoltosi mente sapendo di mentire. Così Salvini, che oggi ha perso l’appoggio anche dei sindacati di polizia penitenziaria che un tempo gli erano più vicini. I poliziotti in carcere sanno cosa rischiano. È criminale metterli in pericolo per guadagnare quel poco di consenso che sempre dà fare la voce grossa e la faccia truce.
Antigone ha messo al lavoro una task force di propri avvocati ed esperti che è a disposizione per aiutare i detenuti che rientrano in questa possibilità a chiedere la detenzione domiciliare. Il Garante nazionale dei detenuti – che ha ricevuto di recente indegni attacchi di stampa – sta lavorando senza sosta, mettendo a rischio anche la propria salute, per controllare che le precauzioni sanitarie siano rispettate e funzionino. Un gruppo di organizzazioni (Antigone, Cgil, Anpi, Arci, Gruppo Abele, Cnvg, Uisp Bergamo, Diaconia Valdese, InOltre Alternativa Progressista) ha proposto misure ragionevoli ma ben più incisive da approvarsi in fase di conversione in legge del decreto. Queste sono le strade per tutelare chiunque frequenti il carcere, personale compreso, nonché la collettività esterna che ha bisogno di un servizio sanitario non ulteriormente gravato.
Non fidatevi di chi parla di indulto mascherato. Andate a leggere il decreto in Gazzetta se non credete a me. Ma non fidatevi. Come non si sono più fidati i poliziotti.