Quaranteno De Luca”. L’immagine del sindaco di Messina nei panni di Will Smith nel film Io sono Leggenda anima le chat di whatsapp sullo Stretto. Mentre il picco di contagiati in città fa un improvviso balzo verso l’alto (passando da 16 a 212 casi in una settimana), i messinesi trascorrono la quarantena incollati alle dirette del primo cittadino: Cateno De Luca si comporta, infatti, come se il mondo fosse diretto verso una fine imminente. Un atteggiamento che non può non essere fonte d’involontaria ironia. I toni apocalittici vengono declinati dall’inizio dell’emergenza coronavirus ogni giorno alle 19, in diretta sul suo profilo facebook. Ma il sindaco ci tiene molto anche allo schermo televisivo. Lunedì è in diretta da Barbara D’Urso. Stacca. Torna in diretta sul suo profilo Facebook, manda a quel Paese il ministero degli Interni. Stacca. Torna in diretta davanti agli imbarchi della Caronte, resta in diretta dalle 20 fino a mezzanotte inoltrata. Stacca. Torna in diretta sempre davanti agli imbarchi alle 6 del mattino. Stacca. Torna poche ore dopo con le foto di un ambulante “beccato”. È una perfomance da antidoping che fa impallidire le maratone di Mentana.

Poche le parole d’ordine, vere e proprie minacce indirizzate ai cittadini che infrangono le norme per limitare il contagio: “Vi becco”, “vi ordino”, “il mio territorio”, “il mio suolo”, “dove cazzo andate”, e il sempreverde “siamo in trincea”. La scelta semantica fa ping pong tra queste opzioni linguistiche. Rilanciate dappertutto. La sua voce, registrata, rimbomba per le strade, ripetuta dai megafoni di un’auto del Comune che non annuncia che è arrivato l’arrotino ma ricorda ai cittadini di stare in casa. La satira si scatena. Un utente si sbizzarrisce montando un video su un drone che sorvolando la città ripete le frasi del sindaco. Il video è riproposto dai media come fosse vero. Lui stesso, che per primo gode di grande capacità autoironica, lo pubblica sul suo profilo introducendolo col dialettale “finiu u babbiu”, per dire che ora si fa sul serio. A Messina distinguere tra il serio e il faceto, tra realtà e parodia, pare ogni giorno più arduo. Pure in tempi di coronavirus.

Ma in questo Truman show in salsa sicula, il vero slancio atletico è affidato alle sue corde vocali che risalgono le ottave fino a sfondare gli argini istituzionali oscillando tra accuse di “delitto di Stato” e “depistaggio di Stato”. Stavolta in doppia diretta, sia sul suo profilo facebook che su Rete 4. De Luca non si riferisce a Ustica, e neanche alla strage di via d’Amelio: per lui il depistaggio è legato al passaggio di “dieci macchine” non autorizzate sullo Stretto. Il sindaco ce l’ha soprattutto con una Renault 4 sbarcata in Sicilia, sulla quale chiede chiarimenti a Roma. Chiarimenti che arrivano e che lui legge indiretta fb: “Artisti da strada gi-ro-va-ghi”, scandisce stavolta con tono baritonale. Pausa. Inspira. E sgancia: “Ministero degli Interni, vai a fare in c..”.

Tutto succede in un accavallamento di dirette contemporanee che ricorda un gioco di specchi: la voce ma anche l’immagine di “Scateno”- come lo chiamano i suoi da anni – pare riprodotta all’infinito, dal canale social di Zuckerberg, da quello satellitare Mediaset, fino all’altoparlante dell’auto del Comune, il presenzialismo del sindaco di Messina rimbalza fino all’altro lato del mondo, ripreso addirittura dal New York Times, E lo fa balzare agli onori dei social in un lampo arrivando alla vertiginosa cifra di 2 milioni di visualizzazioni solo per la diretta di fronte agli imbarchi sullo Stretto. Quella in cui va annunciando di rischiare “l’arresto e l’Italia deve sapere”. “Se ti arrestano fatti mettere con mio padre”, è il commento “memorabile” di un utente durante la diretta. E dire che De Luca agli arresti ci è finito davvero, seppur solo ai domiciliari: nel 2017 fu accusato di evasione fiscale.

Ieri ecco il jackpot, con la denuncia per vilipendio della ministra degli Interni, Luciana Lamorgese. Stavolta il sindaco ridiscende le ottave, ma resta attaccato allo stesso registro linguistico, denunciando “intimidazioni di Stato“. Sulle quali, però, per carità, non può soffermarsi, perché, manco a dirlo, non glielo consente “la trincea”.

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