Quando un giorno don Ezio Palombo, un giovane prete amico di Prato, gli chiese consigli su come doveva comportarsi, don Lorenzo Milani, più grande di sette anni, gli rispose, in una lettera del 25 marzo 1955: “Ecco dunque l’unica cosa decente che ci resta da fare…star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici, noiosi, insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce”.
Don Ezio, a suo modo, ha cercato di rimanere fedele ai consigli dell’amico-maestro don Milani. La sua vita, che si è spenta a 89 anni in ospedale a Pistoia, dove era stato ricoverato nei giorni scorsi perché positivo al coronavirus, è stata quella di un uomo e di un prete scomodo, sempre dalla parte degli ultimi. Come quella, appunto, del priore di Barbiana. Si faceva chiamare “don Ezio” anche dopo che nel 2000 aveva abbandonato la tonaca per sposare una parrocchiana, da cui poi si è separato, e dalla quale ha avuto una figlia, Bianca, 19 anni, perché diceva che un “prete lo è per sempre”.
Don Palombo era nato a Barberino di Mugello il 16 giugno 1931. Fu ordinato sacerdote il 19 dicembre 1953 e di lì a poco divenne parroco a La Briglia; dal 1956, del piccolo Borgo di Fabio, sulle prime pendici della Calvana; nel 1987 gli fu affidata anche la vicina parrocchia di Faltugnano. La canonica di Fabio ricalcava, per tanti aspetti, quella di Barbiana: qui i ragazzi venivano accolti, molti vi si trasferivano per trovare riparo dalle difficile vicende familiari, altri si fermavano per il «dopo-scuola».Tra i ragazzi difficili passati in tanti anni tra Fabio e Faltugnano, sul monte Calvana, comune di Prato, ci fu anche Giovanni Farina, uno dei rapitori dell’industriale bresciano Giuseppe Soffiantini, a cui don Ezio lanciò un appello nei giorni del sequestro, avvenuto nel 1997. Intervistato dalla Nazione, nel 2004, don Palombo riconosce di essere stato troppo buono con Farina: “Era un ragazzo cresciuto senza briglie in famiglia. Da noi si fermava quando passava a cavallo. Gli insegnammo a leggere, a scrivere. Tornassi indietro gli darei più calci nel culo».
Lasciato l’abito talare e sposatosi, nel 2001 “don” Ezio si iscrive ai Ds per contrastare la vittoria di Berlusconi: “Volevo fare qualcosa contro quella scelta degli italiani che non condividevo”, spiegò, ricordando il babbo comunista e il nonno socialista “alla Matteotti”.
Ma la vita scomoda di don Palombo è stata segnata soprattutto dalla sua amicizia con il priore di Barbiana, anche se negli anni Cinquanta l’allora vescovo di Prato monsignor Pietro Fiordelli gli proibì di incontrare don Milani che “stava sui coglioni” ai vescovi sul serio, non solo a parole o nei suggestivi consigli dati al pretino don Ezio. Che quando poté frequentare Barbiana portò al priore due ragazzini figli di una famiglia poverissima: Michele e Francuccio Gesualdi, divenuti poi due dei ragazzi più legati a don Milani (vivevano insieme, in canonica). Che nel carteggio con don Palombo non lesina consigli, in cui c’è l’anima più profonda del priore di Barbiana. Come in questa lettera affettuosa e paterna: “Mi fa tenerezza pensare come sei giovane per addentrarti nell’immensa solitudine di chi cerca solo di salvarsi l’anima. Ma solitudine per modo di dire. Si perde tutti i superiori, quasi tutti i confratelli, tutti i signori quasi tutti gli intellettuali e si trova in compenso tutti i poveri, gli analfabeti, i deficienti. Mi ha fatto tanto ridere di gioia il sentire che a vespro non avevi che un deficiente. Io sono più in gamba di te, ne ho quattro. Molte domeniche non ho che loro e penso sempre che Dio mi deve volere molto bene se mi circonda di suoi elettissimi a quella maniera”.