Come è gestita nelle vostre città l’emergenza Coronavirus? Come si comportano le autorità e i cittadini? E nelle vostre vite, c’è qualche aspetto positivo o inatteso nell’isolamento forzato? Abbiamo chiesto ai nostri Sostenitori di raccontarcelo, inviando testimonianze, osservazioni e spunti per la redazione al Blog Sostenitore. Mai come stavolta il contributo della nostra comunità è fondamentale: con il Paese in zona rossa, ogni segnalazione è importante. Abbiamo bisogno di voi. Sosteneteci: se non siete ancora iscritti, ecco come potete farlo.
di Andrea Taffi
La vita al tempo del coronavirus non è solo tristezza per i tanti, tantissimi morti che il Covid-19 ha portato via da questa terra. Non è solo inquietudine per il futuro prossimo e venturo; non solo vicinanza e solidarietà verso tutti coloro (medici e infermieri) che lottano giorno e notte per la salvaguardia della salute di tutti noi.
No, in questo momento ci sono anche altre persone che mi rendono meno triste, che mi danno speranza, sì, la speranza che quando il coronavirus sarà battuto, le cose non saranno più come noi credevamo che dovessero essere: perfette e immutabili, se non in meglio.
Queste persone sono i bambini. Loro, i bambini, non possono andare a scuola, non possono uscire e si affidano ai genitori per la quotidiana gestione di una nuova vita al tempo del coronavirus, della vita insieme a un mostro (proprio come quello delle loro favole) del quale, tuttavia, non sanno niente, se non che non li fa andare a scuola, non li fa uscire nei parchi, impedisce loro di incontrare gli amichetti e di giocare all’aria aperta. Quella dei bambini, tuttavia, non è inconsapevolezza della situazione, tutt’altro.
La loro consapevolezza, infatti, è il rispetto delle regole, delle limitazioni che sono imposte loro. Un rispetto senza condizioni; un rispetto che porta i bambini a fare in casa tutto quello che prima veniva fatto fuori di casa, dalla scuola, ai giochi, alle passeggiate, ai gelati consumati per strada. Ecco, tutto questo, da babbo di una bambina di sette anni, in casa con lei oramai da dieci giorni (e chissà ancora per quanto) senza uscire, mi dà speranza, mi dà fiducia.
E credetemi, in questo momento, di fiducia, di speranza, ce n’è tanto bisogno, se solo si pensa a tutti quegli italiani (la stragrande minoranza, per fortuna) che hanno costretto il governo a schierare l’esercito per il rispetto di regole che avrebbero dovuto essere rispettate da subito e senza eccezioni, da tutti noi. Proprio come hanno fatto i bambini.
Anche loro avrebbero potuto lamentarsi, chiedere dopo un po’ di tornare a scuola o di uscire per giocare, per andare al parco o a qualche festa di compleanno, proprio come facevano prima. Non lo hanno fatto, perché maestre e maestri, educatori, genitori, hanno detto loro, nel modo che i bambini potessero capirlo, che non andava fatto. Perché tutte queste persone si sono impegnate affinché i bambini (per quanto possibile) continuassero a fare parte di quello che facevano prima. E, per quanto posso vedere io con mia figlia o sapere dei figli di miei amici e conoscenti, ci sono riusciti.
Ai bambini il rispetto delle regole è stato spiegato e loro lo hanno capito. Agli adulti il rispetto di quelle stesse regole è stato spiegato, ma alcuni di loro non lo hanno capito o hanno fatto finta di non capirlo. Stendo un velo pietoso su questi adulti, ma nutro grande speranza sui nostri bambini, che ci stanno dando la dimostrazione di che genere di adulti saranno, il genere migliore, io credo.