La seconda crisi esistenziale nell’arco di un decennio mette l’Unione europea di fronte a una prova impegnativa: mai come in questo momento è stato chiaro che problemi globali richiedono soluzioni almeno continentali, il livello nazionale non basta.
La crisi dell’euro 2009-2012 ha spinto l’Unione europea a dotarsi di strumenti che hanno resto il settore privato e quello pubblico più resilienti e che permettono di affrontare questa crisi con molte più munizioni: la Bce non è più un semplice guardiano anti-inflazione ma interpreta i trattati in modo flessibile e creativo per difendere la tenuta dell’eurozona; l’unione bancaria ha avuto il beneficio di rendere il settore del credito più uniforme e, almeno per ora, capace di reggere un forte choc esterno; il fondo salva Stati Mes (Meccanismo europeo di stabilità) è uno strumento potente che può moltiplicare le risorse dei singoli Stati nazionali e garantire credito a tassi agevolati. Cosa manca?
Come sempre, le decisioni che contano sono quelle politiche.
Su Twitter una pattuglia di reduci delle campagne anti-euro degli anni scorsi applica il modello dell’orologio rotto: se ripeti sempre la stessa cosa, prima o poi il contesto cambierà abbastanza da farla sembrare sensata. I demagoghi sovranisti hanno ripetuto in questi anni che le regole europee erano ottuse e ideologiche, che la Germania non faceva deficit perché era contrario al suo dna, che la Bce aveva poteri limitati a differenza della Federal Reserve, che ogni progetto di integrazione nascondeva intenti coloniali da parte dei tedeschi ai danni del fiero popolo italico. La crisi del Covid-19 ha dimostrato quanto assurdi fossero questi ragionamenti.
La spesa pubblica e il deficit sono e devono essere anticiclici: si risparmia quando l’economia cresce per poter spendere tutto il necessario quando le cose vanno male.
Il patto di Stabilità serve a evitare che gli Stati mettano a rischio i propri conti pubblici e la moneta unica facendo deficit e debito per mance elettorali e spese clientelari. Ma nel mezzo di una pandemia globale viene giustamente sospeso.
I limiti ai poteri della Bce – il cui vertice è nominato dai governi ma gode di una autonomia dalla politica – hanno un senso: soltanto un mandato limitato giustifica l’indipendenza da politici ed elettori. Se la Bce facesse politica fiscale, interferirebbe con le decisioni dei governi democraticamente eletti. Ma quel mandato, pur limitato, è ampio abbastanza da consentire interventi straordinari in tempi straordinari, come abbiamo visto tra 2011 e 2012 e come stiamo osservando ora.
Deficit e spesa pubblica illimitata sono come un ombrello durante il temporale: indispensabile. I sovranisti anti-euro vorrebbero usare l’ombrello sempre, anche nei giorni di sole, anche in casa, anche in metropolitana o in ufficio. Il loro atteggiamento è altrettanto ottuso di quello dei campioni dell’austerità ideologica che pensano che sia sempre opportuno ridurre le spese. In alcuni casi lo è, in altri è dannoso.
Lasciamo quindi i sovranisti a sbraitare nelle loro nicchie su Twitter in cui fanno liste di proscrizione di giornalisti e politici non allineati e guardiamo a come si possono usare gli strumenti disponibili.
La Bce può placare i mercati, sta di fatto permettendo ai Paesi di ridurre il costo del deficit anti-virus (compra titoli sul mercato per abbassare i rendimenti) ma abbiamo visto in questi anni che l’azione della politica monetaria ha parecchi limiti e alcuni strumenti non convenzionali, tipo i tassi negativi, finiscono per distorcere il mercato creando squilibri pericolosi. La politica monetaria fatica a condizionare l’economia reale quando i canali di trasmissione sono bloccati dall’incertezza.
Serve una risposta di politica fiscale coordinata, come ha sempre chiesto Mario Draghi prima di lasciare la Bce e nel suo recente intervento sul Financial Times e come ripete Christine Lagarde, che ne ha preso il posto. Ma come?
L’Unione europea non può emettere debito perché non ha un Tesoro europeo. Sul Foglio Lorenzo Bini Smaghi ha spiegato molto bene cosa comporta emettere Eurobond, cioè un debito pubblico europeo.
Il debito deve essere garantito da qualcosa, quindi o si trasferiscono a Bruxelles asset dei singoli Paesi (per semplificare: il Colosseo, infrastrutture che generano reddito come le autostrade, immobili) oppure si attribuiscono al livello comunitario entrate future, trasferendo potere fiscale. In entrambi i casi se questi trasferimenti riducono le garanzie del debito italiano già emesso, il risultato rischia di essere controproducente: magari riceveremmo Eurobond a tassi vantaggiosi, ma pagheremmo interessi più alti sugli oltre 2000 miliardi di debito normale in circolazione.
C’è il famoso e famigerato fondo salva Stati (Esm in inglese, Mes in italiano) sul quale vengono raccontate un sacco di balle. I sovranisti dicono che qualunque intervento a beneficio dell’Italia ci farebbe fare la fine della Grecia, il cui “salvataggio” è peraltro cominciato ben prima che il Mes venisse creato e con altre premesse, cioè conti pubblici truccati e fuori controllo. Questi critici non citano però mai i casi di Irlanda, Portogallo, Cipro e Spagna che hanno beneficiato del Mes senza particolari problemi in termini di condizionalità (cioè impegni associati al prestito).
Il Mes ha 410 miliardi di euro attivabili, obbligazioni che può emettere a fronte del capitale versato dagli Stati membri. Il premier Giuseppe Conte, così come Mario Monti e altri, chiedono che il Mes faccia una emissione unica e che poi ogni Stato attinga secondo le proprie esigenze, con l’unico impegno di usare quei fondi contro la crisi da Covid-19 e non per alimentare la normale spesa corrente.
La proposta di Klaus Regling, il capo del fondo salva Stati che risponde ai governi membri, è che ogi Paese possa accedere soltanto a somme pari al 2 per cento del Pil, previa firma di un memorandum di intenti “tradizionale”. E’ chiaro che a queste condizioni per l’Italia non c’è un grande vantaggio, perché 2 punti di Pil sono meno di 40 miliardi, il risparmio rispetto al finanziamento sul mercato sarebbe di poche centinaia di milioni. Il costo politico di prendere impegni sui conti pubblici futuri – specie senza sapere ancora la gravità e la durata della recessione – sarebbe elevato.
Il negoziato è in corso e in tutte le crisi gli eventuali accordi si trovano all’ultimo secondo, dopo che tute le parti hanno fissato le loro posizioni di principio. Vedremo.
I sovranisti auspicano il fallimento totale del Mes, e c’è una certa coerenza in questo: poiché la creazione del Mes è stata parte dello sforzo ispirato da Draghi che ha salvato l’euro nel 2012, i sovranisti anti-euro sono contro il Mes.
Regling e i falchi anti-deficit guidati dall’Olanda e da un pezzo dell’establishment tedesco dovrebbero aver chiaro che se il Mes si rivela politicamente non utilizzabile nel pieno di una crisi come questa, allora i mercati riceveranno il messaggio che lo scudo costruito da Draghi con il discorso “whatever it takes” del 2012 ha una falla: gli strumenti ci sono – il Mes e gli acquisti illimitati della Bce di titoli di Stato del Paese che chiede aiuto – ma i governi impongono condizioni tali che nessuno può farvi ricorso.
Queste rigidità rischiano di farci precipitare di nuovo in una crisi di credibilità della moneta unica che farebbe da amplificatore alla già disastrosa crisi da virus.
Ci sono anche altri strumenti disponibili. Come ha suggerito Markus Brunnermeier di Princeton, si può anche usare la Bei, la Banca europea degli investimenti: la Bei può emettere obbligazioni sottoscritte dalla Bce per avere fondi da girare direttamente alle imprese con problemi di liquidità, aggirando interamente il sistema bancario. I singoli Stati nazionali potrebbero poi recuperare le somme – una volta passata l’emergenza – attraverso i rispettivi sistemi fiscali, in modo da minimizzare il costo di gestione per la Bei e dunque il tasso praticato.
Gli strumenti a disposizione sono vari, e questa è una buona notizia rispetto alla crisi precedente che l’Ue ha affrontato senza munizioni pronte. Serve però la volontà politica per usarli, un po’ di creatività e molta leadership. L’alternativa è peggiore, significa consegnare le nostre economie a chi predica la gestione di un’economia globalizzata con strumenti nazionali.
La pandemia di Coronavirus ci ha permesso di vedere quale disastro economico e sociale comporta vivere in un mondo di frontiere chiuse, di Stati che bloccano le importazioni di mascherine, che non scambiano competenze e informazioni tra loro, che fermano scambi di merci e persone.
L’Unione europea è la casa comune che abbiamo costruito dopo il grande disastro dei nazionalismi che ha generato la Seconda guerra mondiale. Oggi è lo strumento più potente che abbiamo per affrontare la globalizzazione. Tutte le alternative sono peggiori, sia quelle offerte dai sovranisti luterani del Nord che quelle proposte dai feticisti del deficit di casa nostra, che sognano di tornare ai tempi della liretta, delle patrimoniali notturne per evitare il default e del ricorso al Fondo monetario internazionale per non fallire, come i Paesi del terzo mondo.