Sta per andare in onda la terza serie del “Lessico”, stavolta ‘civile’, col quale Massimo Recalcati tornerà ad illustrare il suo pensiero sulle umane passioni.
A detta di molti è giunto il momento di interrogare la Rai su quale idea di cultura intenda veicolare riproponendo un format imperniato sul singolo che parla ad una platea non esattamente votata al contraddittorio. Formula nuova tre anni fa, oggi scemata nella logica della ripetizione di un cliché che non ha saputo modificarsi, refrattario a qualsiasi dato di ascolto. Sì perché, più prosaicamente, è oltremodo lecito chiedere quanto costi alle nostre tasche un’operazione non suffragata da un adeguata risposta di audience, visto che nella seconda serie gli ascolti calarono nettamente, facendo indirettamente impennare quelli di Maurizio Crozza con la sua ‘psicobanalisi’. Rivolsi a suo tempo questa domanda dalle colonne del Fatto, senza ottenere risposta.
Vorrei far notare ai vertici Rai, in particolar modo a Stefano Coletta, come la figura del conduttore che Rai 3 pare coattivamente obbligata a riproporre mi appariva superata già anni fa, veicolando un metodo di divulgazione che reputo superato in quanto, in tempi di generazione orizzontale, fa anacronisticamente a meno del contraddittorio. Quel contraddittorio duro che Lacan accettò quando si diede in pasto agli studenti universitari.
La logica della lezione frontale è oggi tramontata, scalzata da quello stesso movimento che ha abbattuto il renzismo. La ri-territorializzazzione dal basso della cultura alla Deleuze, dai movimenti anti-sovranisti passando per le sardine, si fonda sul ritiro della delega incondizionata del sapere, o del potere, al singolo. La cultura non ha prezzo, capra!, era l’obiezione principe che alcuni intellettuali, oggi afasici, muovevano alle mie argomentazioni. Oggi anche i più irriducibili di loro hanno capito che la loro obiezione poteva forse valere ai tempi della Rai di Ettore Bernabei, alla quale veniva riconosciuto un indiscusso ruolo pedagogico.
La diffusione di canali tematici a pagamento ha reso l’approfondimento e l’indagine elementi reperibili quasi ovunque, ma sempre più raramente in Rai, capace di azzerare programmi come quello dell’ottima Gabanelli. Questo rende il ‘paga e taci sennò sei contro la cultura’ un ordine che poteva essere accettato forse dal maestro Manzi. Oggi, no. Oggi voglio sapere, da utente quanto mi costa, non fosse altro per la sempre più stretta vigilanza che il paese reale va mettendo sui compensi Rai, non ultimo il caso Benigni a Sanremo.
Cosa servirebbe al programma, dopo tre anni, per dargli una forma più attuale, che ne ampli la platea coinvolgendo i tanti che alle argomentazioni di Recalcati da tempo hanno fior di obiezioni da opporre? La critica puntuale ed argomentata di alcune delle sue idee esposte, ad esempio, su Repubblica. Perché non introdurre questo elemento dissonante al posto delle prolusioni di Benigni? Penso ad esempio al paradosso della teoria del ‘Complesso di Telemaco’, dal conduttore concettualizzata e utilizzata anche, ma non solo, come plinto teorico del renzismo. Mai teoria fu più sconfessata dall’esempio principe con il quale venne applicata alla politica attuale: Matteo Renzi, Renzi Telemaco, ‘eterogeneo, sciamanico’, quello che avrebbe dovuto mettere la sinistra con le ‘spalle al muro del proprio cadavere’. Ma ve lo ricordate?
Certo che si, gli italiani che ricordano tutto hanno assistito alla metamorfosi e all’epilogo del renzismo, del rottamatore, e oggi vedono quale posto occupi nella politica italiana, quale il suo modo di tenere in scacco l’altro, quali le fatiche della sinistra per liberarsene nella speranza che, ormai segnato da sondaggi che ne hanno da tempo decretato la fine, evapori incontrando il freddo delle urne. Poiché di colpo su Repubblica si è smesso di parlarne, vorrei che la Rai dedicasse una puntata ad approfondire questo mantra che per mesi e mesi abbiamo dovuto sorbirci. Potrebbe chiamarsi “Lessico Politico”.
A tal proposito, la politica che dice? Per un Pd che ha dimenticato assai in fretta l’adesione di Recalcati al renzismo, risalta invece la mancanza di obiezioni da parte di quella fronda 5 Stelle, oggi corposa, la quale una volta accomodatasi in poltrona, ha voltato le spalle a Di Maio. Erano quelli che sino a ieri si stracciavano le vesti quando il conduttore paventava la caduta della nazione nelle mani di una ‘srl guidata da un comico bipolare’, tratteggiando di Maio come ‘uno ex-steward del San Paolo di Napoli con evidenti difficoltà di ragionamento e lessicali’, e oggi non dicono nulla. Cari pentastellati, spettava a voi immettere nel panorama culturale pensatori “controcorrente, in appartenenti (…) eretici”, come li definisce Filippo la Porta.
Il tempo delle verità non contraddette è finito. Insomma, fatto salvo per Bruce Springsteen, la formula dell’one man show è tramontata. E interpellare quella Rai che io pago, non è eresia.