Come è possibile che 187 dei 239 casi di positività al Covid-19, a Mestre, siano concentrati in un’area che sta a nord della città? I medici e gli analisti dell’Uls Serenissima si sono posti la domanda quasi subito, dopo che la pandemia ha cominciato a contagiare in tutto il Veneto, a partire dalla serata del 21 febbraio scorso. E la risposta non è molto difficile. A nord di Mestre, che è la parte di Venezia che si stende sulla terraferma, esiste un importante centro commerciale, che non solo si integra con la città, ma assorbe anche il territorio dei Comuni dell’hinterland, sempre più popolati, una vera e propria conurbazione che si addentra nella campagna. Siamo nella zona meridionale del Terraglio, la strada alberata che collega Mestre a Treviso, da cui il centro commerciale è raggiungibile in una ventina di minuti.
Adesso i grandi poli commerciali sono chiusi. Ma alla fine di febbraio erano aperti, frequentatissimi. E questo spiega come la diffusione del coronavirus può essere stata agevolata dalla concentrazione di persone in quella zona. L’area finita sotto la lente d’osservazione è il perimetro compreso tra Zelarino, Cipressina, Carpenedo, Chirignago, Bissuola, Favaro e Campalto. I 187 casi finora registrati corrispondono a una densità di 18,6 casi ogni 10mila abitanti. Nemmeno paragonabile a quella dei contagi che a Mestre centro sono stati solo 28, mentre nella parte più industriale (Marghera, Catene e Malcontenta) sono stati 24. Da tenere presente che la positività di lavoratori che hanno frequentato o continuano a frequentare il polo di Marghera è di difficile attribuzione geografica, visto che le provenienze residenziali si dilatano in un territorio molto vasto.
L’Uls 3 Serenissima, per spiegare l’anomalia di Mestre Nord, ha elaborato la teoria delle cosiddette “calamite di aggregazione”. L’area commerciale ospita nomi importanti della grande distribuzione come Auchan, Decathlon, MediaWorld, Obi e IperCoop. Prima della serrata decisa dal governo l’11 marzo, attiravano ancora migliaia di clienti (oltre alla presenza del personale dipendente) e quindi l’escalation di casi (tenendo conto dei tempi di incubazione) si spiega soltanto con quei flussi di persone.
Lo ricorda il dottor Vittorio Selle, direttore del Servizio di Igiene e Sanità Pubblica dell’Ulss: “L’appello è sempre lo stesso: evitare i contatti interpersonali, restare in casa, osservare le misure igieniche che ci proteggono proprio da quei contatti che non abbiamo potuto evitare, in particolare dopo aver fatto la spesa, dopo aver avuto accesso a strutture sanitarie e a mezzi pubblici, o al lavoro, per chi va”. La spesa non è l’unica spiegazione: “Il contagio si diffonde anche in famiglia o in gruppo – ha aggiunto il dottor Selle intervistato da Il Gazzettino – e proprio per questo là dove si verifica un caso, arrivano di conseguenza nuovi contagi. Resta il dato che ad oggi in quell’area ci sono 18,6 casi ogni diecimila abitanti, mentre la media provinciale è dell’11 per diecimila abitanti”.
Variazioni ci sono anche nella Venezia insulare: nell’area del Lido ci si attesta su una media di 10,9 casi su diecimila abitanti, mentre nel centro storico si arriva all’8 su diecimila (l’area più colpita è tra San Marco, Castello, Cannaregio). Nelle isole, poi, si scende intorno al 5 su diecimila: finora a Murano i casi registrati sono 3, uno soltanto fra Burano e Torcello. A Venezia centro storico e nelle isole della Laguna non esistono centri commerciali.