Secondo l’Oms il picco del Coronavirus potrebbe essere raggiunto in settimana e poi si inizierà a vedere decadere la curva in maniera più rapida nei prossimi 5-6 giorni.
A questo punto in prossimità di una pur lunga e ancora drammatica fase discendente può essere finalmente il tempo di alzare lo sguardo oltre le ansie e la paura quotidiana, lo stress anche per chi non è ammalato causato da una vita a libertà limitatissima, le polemiche contingenti della politica, la litigiosità dei poltronisti da talk, le disfide tra virologi con al seguito le opposte tifoserie.
In questo mese in cui siamo diventati prima “il focolaio” dell’ Occidente e poi inevitabilmente, data anche l’inerzia e l’inadeguatezza altrui, un esempio da seguire per gli altri paesi, si sono ascoltate e subite parole in libertà a non finire: da politici e giornalisti di sinistra è stato sostenuto che il virus l’avremmo esportato noi italiani in Cina dalla Lombardia; da destra ci sono stati gli attacchi agli ambientalisti accusati di tifare per il Covid-19 solo perché registravano la drastica riduzione dell’inquinamento, fattore di velocizzazione della trasmissione secondo molti studi, a seguito del calo del traffico.
Per qualche giorno ha tenuto banco con enorme enfasi mediatica “lo scandalo Zaia” per le insistite sottolineature sui “cinesi che mangiano i topi vivi” e che hanno standard igienici “lontani dai nostri” con seguito di indignate accuse di razzismo.
Ma fin dall’inizio della diffusione del virus a Wuhan, o meglio da quando le notizie sono filtrate nonostante la “consueta” censura iniziale e l’arresto del medico che aveva dato l’allarme, l’origine di quella che sarebbe divenuta pandemia – e cioè l’orrore dei mercati degli animali vivi dove topi, serpenti, pipistrelli vengono macellati dopo giorni di cattività e maltrattamenti insieme a cuccioli di lupi, cervi, cani, tartarughe, tassi e creature selvatiche di ogni specie non ha avuto l’evidenza mediatica che meritava. Ancora una volta i semplici e puri fatti, le cause all’origine della propagazione del “nemico invisibile” contro cui tutti blaterano 24h su 24, sono rimasti in secondo piano “coperti” molto spesso dalla faziosità della prevalente e trasversale propaganda filo-cinese, dettata dai fin troppo noti interessi economici.
D’altronde che alla Cina in forza del suo stratosferico potere commerciale e tecnologico venga “perdonato” qualsiasi comportamento a livello internazionale non è sicuramente una novità, basti pensare che l’America di George Bush padre continuò a riservarle la clausola di “nazione più favorita” nonostante la repressione cruenta di piazza Tienanmen con buona pace delle ripetute dichiarazioni di principio da parte dell’ amministrazione americana sul rispetto dei diritti umani.
Se allora, era il 1989, la scelta inequivocabile fu quella cinica e opportunistica di separare gli affari commerciali dai diritti umani – perché in fondo nel lungo periodo degli studenti massacrati dai carri armati cinesi, così come dei giovani di Hong Kong che rivendicano solo la partecipazione democratica, alle “democrazie avanzate” interessa decisamente poco – ora la pandemia del Covid-19 ci sta mettendo di fronte alla scelta drastica tra sviluppo predatorio insostenibile, consumo del territorio, scempio degli animali e diritto alla salute, la nostra, che non è disgiunta da quella dell’ambiente che ci circonda e di cui facciamo parte.
I termini della scelta a cui ci troviamo di fronte e che dovrà essere prioritaria per il nostro prossimo futuro, appena usciremo dal bollettino di guerra giornaliero con i numeri dei contagiati e dei deceduti, li aveva anticipati con precisione e chiarezza già nel 2012 David Quammen, definito “il divulgatore scientifico più letto e ascoltato del momento” (speriamo che sia così) in Spillover, un saggio narrativo in cui spiega il salto di specie di un patogeno e le condizioni che lo favoriscono o determinano.
Nell’intervista su La lettura del Corriere del 22 marzo, Quammen non si riconosce spirito profetico ma rivendica di aver scritto “solo” quello che “scienziati lungimiranti avevano preannunciato” e cioè che la “next big one”, la prossima grande epidemia, sarebbe stata causata da un virus proveniente da un animale selvatico, verosimilmente un pipistrello, che il primo contagio avrebbe potuto verificarsi in un mercato cinese che macella animali in loco e di lì si sarebbe potuto propagare ovunque, complice l’interconnessione globale e l’asintomaticità in molti contagiati.
Ma quello che sottolinea è che siamo noi ad offrire l’opportunità a questi virus di trasferirsi dagli ospiti animali agli umani quando alteriamo e devastiamo gli ecosistemi e cioè nel momento in cui “si distruggono le foreste per ricavare legname e metalli, oppure si uccidono centinaia di specie per uso alimentare o per immetterle sul mercato… E negli ultimi decenni queste attività sono aumentate in modo esponenziale”.
Tra gli “insegnamenti” da non dimenticare che ci lascia come specie umana questa pandemia secondo David Quammen c’è la semplice verità che “Nessun uomo è un’isola; nessuna donna è un’isola; nessun pipistrello, pangolino, zibetto o gorilla lo è. Siamo tutti connessi dalla storia evolutiva e dal nostro dover coesistere in un ambiente così piccolo”. E la considerazione-esortazione conseguente è che gli uomini “fortunati” in quanto “dominatori del pianeta” usino le loro capacità non solo per scongiurare l’attuale contagio con test, farmaci, vaccini ma a questo punto “ritrovino l’umiltà e capiscano come trattare con il massimo rispetto il resto del mondo vivente”.
Il ritorno “alla normalità” non dovrà essere la ripetizione di errori e crimini contro gli altri esseri viventi se non vogliamo esporci al rischio di ritrovarci in una situazione analoga a causa del virus di prossima generazione.