Nel marzo di ventinove anni fa ne arrivarono 25mila in una sola città, Brindisi, nel giro di 24 ore. Sotto la canicola di agosto, correva sempre il 1991, furono 20mila a sbarcare nel porto di Bari a bordo della Vlora, ribattezzata la ‘nave dolce’ perché commercialmente addetta al trasporto di zucchero. A conti fatti furono centinaia di migliaia a giungere in Italia nel giro di pochi mesi. E gli sbarchi proseguirono anche negli anni successivi. In quell’esodo – e nell’accoglienza che gli italiani riservarono soprattutto nel primo periodo – affondano le radici le parole del primo ministro albanese Edi Rama pronunciate alla partenza di 30 medici spediti da Tirana negli ospedali italiani per aiutare nella lotta al coronavirus.
“Non siamo privi di memoria: non possiamo non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non abbandonano mai un proprio amico in difficoltà. Oggi siamo tutti italiani, e l’Italia deve vincere e vincerà questa guerra anche per noi, per l’Europa e il mondo intero”, ha ricordato Rama salutando il team in partenza. “L’Italia è casa nostra da quando i nostri fratelli e sorelle ci hanno salvato nel passato, ospitandoci e adottandoci mentre qui si soffriva. È vero che tutti sono rinchiusi nelle loro frontiere, e Paesi ricchissimi hanno voltato le spalle agli altri. Ma forse è perché noi non siamo ricchi e neanche privi di memoria, non possiamo permetterci di non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non l’abbandonano”, ha concluso con un riferimento implicito alla Germania che frena sugli eurobond e alle guerre di frontiera per il materiale medico-sanitario.
C’è una data spartiacque in questa storia. È il 7 marzo 1991, un giovedì (leggi le storie). Le navi Lirja, Tirana, Legend e poi via via altre decine di “carrette del mare”, pescherecci e a volte vere e proprie zattere di fortuna si affacciano le porto di Brindisi con a bordo migliaia di albanesi in fuga, stremati da decenni di regime comunista guidato da Enver Hoxha e Ramiz Alia. Dopo ventiquattr’ore sulle banchine della piccola città adriatica, la più vicina alle coste di Valona e Durazzo, se ne conteranno 25mila. Venticinquemila.
Il giovane sindaco della città, Giuseppe Marchionna, di fronte al rischio di fughe e scontri fece diramare un messaggio in radio e nelle tv locali: “Hanno solo fame e freddo, aiutateli”. La gente capì aprendo le porte le proprie case per fornire un pasto caldo, offrendo un letto e una doccia. Il prefetto Antonio Barrel requisì le scuole, trasformate in dormitori, e il sindaco chiese alle mense aziendali di fornire migliaia di pasti al giorno. La città fece da se, stravolgendo la propria quotidianità per settimane pur di accogliere quelle migliaia di albanesi: ogni condominio organizzava tavolate, metteva a disposizione una stanza libera. Le istituzioni romane si palesarono solo cinque giorni dopo: “Nelle emergenze questo Stato è vecchio, lento e asmatico”, disse il vice presidente del Consiglio Claudio Martelli al suo arrivo a Brindisi.
Gli sbarchi proseguirono nei mesi successivi e l’8 agosto toccò a Bari vivere un’altra giornata di “piena”. In 20mila assaltarono la nave Vlora e sbarcarono sulla banchina 14 del porto. “Ero uno di quelli che l’8 agosto del 1991 era a Bari, perché sono nato e cresciuto lì e so cosa rappresenti per il vostro Paese il legame con l’Italia – ha ricordato il ministro Francesco Boccia all’arrivo dei medici – Grazie per questo gesto di fratellanza, siete un Paese che ha l’Italia sulla pelle. Noi pugliesi diciamo che siete la ventunesima regione italiana”.
Fu il più grande sbarco di migranti in Italia su una singola imbarcazione. La gestione non fu proprio la stessa dei mesi precedenti: in tanti vennero rinchiusi nello stadio della Vittoria, molti altri fuggirono. La reazione di tantissimi baresi però fu la stessa dei brindisini nei mesi precedenti. A 29 anni di distanza è questa la “memoria” di cui parla Rama, la radice più profonda di quel “ospitandoci e adottandoci”. L’Albania non ha dimenticato.
Foto di Damiano Tasco