All’ospedale Sacco di Milano, se mamme e bambini sono entrambi affetti da coronavirus possono stare insieme, perché nella struttura c’è anche il reparto di Infettivologia pediatrica. E non è poco, considerando che questi bambini hanno dovuto rinunciare a tutto il resto: scuola, amici, stare a casa con papà e altri fratellini. Persino al sorriso rassicurante dei medici, perché quando gli infettivologi entrano nelle loro stanze, in ospedale, indossano la mascherina e la visiera. “Non c’è più quel primo impatto distensivo, né possiamo comunicare con loro con lo sguardo, perché i dispositivi coprono anche le nostre espressioni” spiega Vania Giacomet, professoressa associata dell’Università degli Studi di Milano e responsabile dell’unità di Infettivologia Pediatrica al Sacco. Eppure, mai come ora, questi pazienti hanno bisogno di un supporto psicologico. Chi non ne ha, dopo queste ultime settimane? Ne hanno bisogno il personale medico e sanitario in prima linea, le famiglie delle vittime, le forze dell’ordine, tutti quelli che sono in quarantena. Tutti quelli che in questa battaglia stanno perdendo qualcosa.

LE MAMME E I BAMBINI CONTAGIATI – Anche i bimbi e le mamme ricoverati al Sacco hanno un supporto psicologico. Simona Trotta, psicologa e psicoterapeuta del reparto di pediatria, si è offerta di mantenere un dialogo con questi pazienti speciali attraverso le chat su skype. I bambini raccontano quello che stanno vivendo e tirano fuori le loro ansie. “C’è bisogno di supportare soprattutto le mamme – spiega a ilfattoquotidiano.it Giacomet – preoccupate per i figli, per loro stesse e magari per i mariti ricoverati in altri ospedali. Alcune di loro hanno persino i genitori, a casa, infetti”. Cosa rimarrà di tutto questo? “Il tempo aiuterà il ritorno alla normalità, perché questa è un’infezione acuta – spiega l’infettivologa pediatrica – e lo stress che comporta è diverso rispetto a quello che si riscontra nei bambini che devono convivere con un’infezione cronica”.

CHI RESTA A CASA – Non va sottovalutato, però, neanche lo stress delle famiglie che sono a casa, in appartamenti magari piccoli. Tutti insieme, senza scuola, con i compiti e talvolta anche il lavoro da remoto. E sono pochi quelli già abituati allo smart working che, con i figli 24 su 24 a casa, non è sempre così smart. “Il problema è che si tratta di uno stress prolungato nel tempo – continua Giacomet – perché se durante i primi giorni ai bambini è bastato spiegare con un linguaggio appropriato cosa fosse il Coronavirus e tutte le regole da seguire per far sì che vivessero tutto come una vacanza, ora la mancanza di scuola, palestra, amici, nonni, inizia a farsi sentire e questa socializzazione che viene meno potrebbe avere un impatto psicologico importante”. A tutto questo si aggiunge il flusso di informazioni sempre più allarmanti che arriva in ogni casa. “Molti bambini, persino in età prescolare, mi mandano messaggi per ringraziarmi del lavoro che facciamo in ospedale e credo – aggiunge l’infettivologa – sia il segno di timori che iniziano a manifestarsi. È molto importante, in questi giorni, non svolgere solo attività ludiche, ma seguire corsi con i bambini e non interrompere completamente la loro formazione”. C’è poi la lontananza dai nonni. “È importante spiegare – sottolinea – che non andare a trovarli è un modo per proteggerli”.

MEDICI E INFERMIERI IN TRINCEA – Ma hanno bisogno di aiuto psicologico soprattutto gli operatori sanitari in prima linea e i medici di base. Lo conferma Roberto Ferri, presidente della Società italiana di Psicologia dell’Emergenza, associazione iscritta nei registi del volontariato di Protezione Civile e che opera in situazioni di emergenza. Terremoti, alluvioni, disastri naturali. Il Coronavirus è altro. “Abbiamo istituito diversi sportelli regionali di ascolto, anche attraverso whatsapp e skype, e ci possono contattare anche via mail” spiega. Dalla Lombardia e dall’Emilia il numero di richieste maggiori. Si tratta di numeri dedicati in primis proprio a medici, infermieri e operatori sanitari. “Almeno in alcune regioni e strutture – racconta il presidente di Sipem – siamo ancora in una fase iniziale in cui l’adrenalina è alta e consente di far fronte a mille difficoltà, come i turni massacranti. Man mano che passano le settimane, il rischio di crolli è sempre più alto”. Il personale sanitario è tra le categorie più esposte alla “sindrome del burn-out“, che colpisce soprattutto coloro che svolgono le ‘professioni d’aiuto’. “Sono sotto pressione e, in molti casi, per loro è impossibile avere un turn-over. I medici provano un senso di frustrazione e rabbia, perché costretti a fermarsi o perché si ammalano o per carenza di dispositivi di protezione mentre vorrebbero un maggiore supporto” spiega Ferri. Ma provano anche un senso di sconfitta: “Terminato il turno di lavoro, non pensi a chi hai salvato, ma a chi non ce l’ha fatta. E subentra il senso di colpa”. Poi c’è la paura. “Molti temono di ammalarsi, ma la paura – al contrario del panico – è un’emozione positiva. Oggi noi li consideriamo eroi, ma è normale che ci siano momenti in cui vorrebbero restare a casa, al sicuro, con i loro familiari”. Il rischio? “Quello di perdere entusiasmo per ciò che fanno. Nessuno, né noi né loro, se lo può permettere”.

IL SUPPORTO PSICOLOGICO, DAGLI OSPEDALI A UNIVERSITÀ E COMUNI – Non è un caso se gli ospedali, anche quelli coinvolti direttamente con l’emergenza, stanno cercando di offrire un supporto psicologico al personale. Protezione civile, aziende sanitarie, Croce Rossa, Ordini degli psicologi sono solo alcune delle realtà che forniscono un sostegno psicologico. Sul sito del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi si può scaricare un decalogo antipanico. Alcune regole: attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo, non confondere una causa unica con un danno collaterale, non ricercare in maniera ossessiva l’invulnerabilità e non farsi prendere dal contagio collettivo del panico. Sportelli online sono stati attivati da diversi comuni, mentre colloqui a distanza sono offerti da Università come quelle di Torino e Bari.

LE FAMIGLIE DELLE VITTIME – In questi giorni le istituzioni cercano di rassicurare i cittadini, sottolineando che le vittime sono soprattutto anziani con più patologie pregresse. “Dietro quelle persone, però – spiega Ferri – ci sono famiglie che soffrono e che si sarebbero aspettati di perdere i loro cari, anche molto anziani, in maniera più naturale. Invece c’è stata una forma violenta di distacco e questo provoca rabbia”. Ma come può la psicologia dell’emergenza aiutare queste persone? “Bisogna accompagnarle nella primissima fase del dolore e aiutarle a elaborare il lutto, dare un senso e contestualizzare quanto accaduto. Parlarne subito contribuisce a evitare l’insorgenza di disturbi post-traumatici da stress”. La rabbia dei parenti delle vittime si somma al senso di ansia e di angoscia che, in maniera diversa, proviamo tutti. Perché non sappiamo quando l’emergenza terminerà, al contrario di ciò che avviene generalmente con le calamità naturali.

GLI EFFETTI E I CONSIGLI – “C’è ancora molta confusione – aggiunge Ferri – rispetto alle notizie diffuse e in molti scatta una modalità psicotica di informarsi: si resta per ore davanti a social e televisione alla ricerca ossessiva di notizie”. Ci saranno effetti a lungo termine? “Dipende dalle singole persone: ci sarà chi riprenderà una vita normale, chi continuerà a vivere uno stato di ansia e precarietà (a prescindere da eventuali problemi economici) e chi trarrà una lezione positiva, imparando a dare valore alle cose importanti e riappropriandosi dei propri tempi e dei propri spazi”. Qualche consiglio pratico per chi si sente sopraffatto dall’ansia? “Le emozioni che proviamo sono legittime, ma dobbiamo cercare di controllarle e dare loro un significato” spiega l’esperto. Che suggerisce alcune tecniche: “C’è il training autogeno, ma anche una tecnica di autorilassamento molto semplice, che gli operatori sanitari conoscono bene”. È la seguente: “Occhi chiusi, seduti su una sedia, coi piedi appoggiati a terra e le mani incrociate sulla pancia. Procedete con grossi respiri a bocca aperta, una serie da cinque o da dieci, rimanendo concentrati sulla pancia che si gonfia. Si possono fare anche due o tre serie di questo tipo. Prima di alzarvi aspettate subito, perché abbiamo dato una maggiore ossigenazione al corpo”.

FORZE DELL’ORDINE E DETENUTI – Tecniche che saranno utili anche a un’altra categoria di lavoratori. Quella più abituata alla trincea, anche se diversa. Non è un caso se l’Osservatorio Nazionale per i diritti e la salute dei militari e delle forze dell’ordine, in collaborazione con il Coordinamento sindacale penitenziario ha attivato il servizio skype per il supporto psicologico al personale militare delle forze dell’ordine e alla polizia penitenziaria impegnati nell’emergenza (per contatti osservatorioçaispis.org). Non appena attivato, è stato subissato da richieste di aiuto, in particolare da parte di poliziotti che lavorano nelle carceri, dove nei giorni scorsi ci sono state, in diverse regioni, proteste e rivolte dei detenuti, fino ad arrivare a casi estremi, come quelli di Modena e Foggia. A lanciare l’allarme è stato anche il presidente dell’Ordine degli Psicologi della Puglia, Vincenzo Gesualdo, che ha parlato proprio del rischio burn-out per gli agenti della polizia penitenziaria. Il discorso del supporto psicologico vale anche per i detenuti, per i quali ad oggi “la situazione è quella ordinaria. Il servizio psicologico non è fornito, se non su progetti specifici” spiega Emilia Rossi, componente del Collegio del Garante nazionale per i diritti dei detenuti. E nelle ultime settimane le visite, come è noto, si sono dovute interrompere a causa dell’emergenza. Per i detenuti quello del supporto psicologico è da sempre un tema importante, considerando il numero di suicidi che si registrano nelle carceri.

IL RISCHIO SUICIDI – Ma questo è un aspetto che oggi riguarda diverse categorie di persone. Perché la pandemia avrà anche effetti economici, sociali e, di conseguenza, psicologici soprattutto su chi è più vulnerabile, perché ha meno tutele o perché farà i conti con il maggior numero di danni. È già accaduto negli anni della crisi economica scaturita dalla crisi finanziaria del 2008, con la scia di suicidi di piccoli imprenditori sopraffatti dai debiti. È frutto di quel momento storico l’idea di un percorso che avrebbe poi portato alla legge ‘Salva Suicidi’. “In quegli anni c’è stato un aumento dei casi di suicidio del 12% per gli uomini tra i 25 e i 69 anni” spiega a ilfattoquotidiano.it Maurizio Pompili, professore di Psichiatria della Sapienza e direttore del Servizio per la prevenzione del suicidio dell’ospedale Sant’Andrea di Roma. Secondo l’Osservatorio suicidi per motivazioni economiche della Link Campus University, dal 2012 a giugno 2018 per queste ragioni si sono uccise circa mille persone, tra imprenditori e disoccupati. La storia non deve ripetersi, ma non è solo una questione economica. “Ci troviamo di fronte a qualcosa di molto più grande – spiega Pompili – perché se quella crisi intaccò soprattutto alcuni settori, stavolta si è fermato quasi tutto, dalle compagnie aeree ai commercianti. Va data una risposta molto propositiva, per tutelare tutti, a cominciare da chi lavora in nero”. Per Pompili si può lavorare anche sull’informazione e su campagne ad hoc: “Le persone devono conoscere i rudimenti della prevenzione al suicidio e imparare a riconoscere i sintomi di un disagio. Bisogna cercare di dare messaggi positivi, anche perché questa volta davvero quello che è successo ci coinvolge tutti”. Ma bisogna anche agire d’anticipo: “Sarebbe auspicabile un piano di emergenza nell’ambito della salute pubblica. Ma da subito, perché fra qualche mese ci si dovrà confrontare con domanda crescente di sostegno psicologico”.

ECCO CHI PUOI CHIAMARE SE HAI BISOGNO – Sportelli e centri ascolto sono stati attivati da molti Comuni e aziende sanitarie locali (numeri e orari sono consultabili sui siti istituzionali).

Un forum di assistenza psicologica – che risponde al numero 89349949 – è stato poi attivato dal Codacons. Un team di psicologi risponde dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 16.

La Società italiana di Psicologia dell’emergenza ha attivato in Lombardia il servizio Pronto Psy-Covid19. È necessario inviare una email all’indirizzo sipemsoslombardia@gmail.com, lasciando nome e recapito telefonico, ma si può anche telefonare e lasciare un messaggio al numero 379 1898986. Chiunque farà richiesta, verrà ricontattato entro 48 per fissare un colloquio telefonico, o su WhatsApp, o via Skype. In Emilia-Romagna, invece, per accedere al servizio occorre scrivere a info@sipem-er.it. In Sardegna è attivo il numero verde 800197500 per ‘Filo diretto psicologico coronavirus Covid-19’, che si aggiunge al numero telefonico 3791663230, operativo tutti i giorni, dalle 17 alle 19.

L’Ordine degli Psicologi della Liguria mette a disposizione il numero 320 6708717, attivo tutti i giorni dalle 9 alle 12, dalle 14 alle 17 e dalle 20 alle 22.

In Piemonte, l’associazione ‘Psicologi per il popolo’ ha attivato un servizio di supporto psicologico a distanza. Si può chiamare il numero 011 01137782 attivo tutti i giorni, inclusi sabato e domenica, dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19. In Sicilia, il Policlinico di Palermo ha attivato tre linee telefoniche per tutti i pazienti che necessitano supporto a distanza. I numeri saranno attivi dalle 8 alle 18: 091 6555654, 091 6555653, 091 6555641. In Campania il Servizio di Psicologia Emergenza Covid19 è attivo al numero 081-7463458 (mail psicologiaclinica.medicina@unina.it).

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